Eraclea Minoa (in greco antico Ἡράκλεια Μινῴα; in latino Heraclea) fu un'antica città greca della Sicilia sud occidentale, fondata, secondo Erodoto, dai Selinuntini che la chiamarono originariamente Minoa dalla fine del VI sec. a.C. Disputata fra Cartaginesi e Siracusani fu assoggettata ai Romani dopo la seconda guerra punica. 

Si conservano resti della cinta muraria, con torri e porte (IV -III sec. a.C.), di un teatro (IV sec. a.C.), nonché dell’abitato e delle necropoli (di età arcaica ed ellenistico-romana). In un antiquarium è esposta la documentazione archeologica, rappresentata da reperti risalenti fino a epoca preistorica.

Le sue rovine si trovano nell'area archeologica di Cattolica Eraclea, comune italiano della provincia di Agrigento.

Dalla fine del VI secolo a.C., Eraclea Minoa passò sotto il dominio di Akragas e successivamente alla invasione punica del 409 a.C. passò nella zona sotto il controllo cartaginese: durante le guerre greco-puniche il vicino fiume Platani ha segnato per secoli la linea di confine naturale tra la epicrazia cartaginese in Sicilia ed i territori sotto l'influenza siracusana. Contesa tra greci e cartaginesi cadde, ora in una, ora nell'altra mano, finché nel III secolo a.C. non divenne colonia romana. Dal I secolo a.C. in poi venne abbandonata.

La città viene riportata nelle Verrine di Cicerone tra le civitates decumanae della Sicilia romana. Nel 131 a.C. il pretore Publio Rupilio vi dedusse una colonia, da cui si suppone che la città si spopolò quasi del tutto durante la prima guerra servile.

Riporta Cicerone che anche Eraclea fu oggetto delle vessazioni di Verre:

(LA)

« Ibi non solum iste ut apud ceteros pecuniam accepit, sed etiam genera veterum ac novorum numerumque permiscuit. »

(IT)

« Qui Verre non solo prese denaro, come negli altri luoghi, ma anche mescolò categorie e numero di cittadini vecchi e nuovi. »

(Marco Tullio Cicerone, In Verrem, II, 2,125. Traduzione di Laura Fiocchi e Nino Marinone)

Narra lo stesso Cicerone il suo arrivo notturno a Eraclea:

(LA)

« Si per L. Metellum licitum esset, iudices, matres illorum miserorum sororesque veniebant. Quarum una, cum ego ad Heracleam noctu accederem, cum omnibus matronis eius civitatis et cum multis facibus mihi obviam venit, et ita me suam salutem appellans, te suum carnificem nominans, fili nomen implorans, mihi ad pedes misera iacuit quasi ego eius excitare ab inferis filium possem. »

(IT)

« Se Lucio Metello lo avesse consentito, o giudici, erano pronte a presentarsi qui le madri e le sorelle di quegli infelici. Una di queste, mentre io mi stavo avvicinando a Eraclea, mi venne incontro con tutte le donne sposate di quella città alla luce di molte fiaccole, e rivolgendosi a me con l'appellativo di salvatore, chiamando te suo carnefice, invocando fra le lacrime il nome del figlio, l'infelice si prostrò ai miei piedi, quasi che io potessi risuscitare suo figlio dai morti. »

(Marco Tullio Cicerone, In Verrem, II, 5,129. Traduzione di Laura Fiocchi e Dionigi Vottero)

Gli scavi archeologici documentano l'abbandono della città poco dopo la metà del I secolo a.C.