Medma o Mesma (Greco: Μέδμη, Μέδμα), è un'antica città magno-greca del sud Italia, sulla costa occidentale della penisola bruzia (ora chiamata Calabria), tra Hipponion (anche Hipponium) e la foce del Metauros (Strab. vi. p. 256; Scil. p. 4. § 12.).

Colonia fondata da Locri nel VI secolo a.C. ne distava meno di un giorno di cammino e sembra che tragga il suo nome da una fonte sita nelle vicinanze (Strab. l. c.; Scimn. Ch. 308; Stef. B. s. v.), un'altra ipotesi è che il toponimo provenga dalla lingua delle popolazioni autoctone e che abbia il significato di città di confine. È possibile che entrambe le ipotesi siano fondate, poiché la fonte in questione da origine all'attuale fiume Mésima, che deriverebbe appunto il suo nome antico dal termine indigeno per 'confine'. Comunque, sebbene spesso riportata tra le città greche di questa parte d'Italia non sembra aver raggiunto una particolare importanza o potere. Nel VII secolo a.C. i locresi fondarono, su un altopiano a nord di Medma, Hipponion (l'odierna Vibo Valentia), città marinara e con un fertile retroterra agricolo, ampliando così i propri confini territoriali e imponendo una maggiore azione politica e commerciale sul versante tirrenico. Alla fine del VI secolo a.C. ebbe luogo una battaglia in cui Medma e Locri, supportarono Hipponion in una guerra contro Crotone. La notizia è riportata dall'epigrafe incisa su uno scudo di Olimpia. Ininzialmente si riteneva fosse riferita alla battaglia della Sagra, ma poi, per la cronologia successiva dello scudo e la constatazione che l'epigrafe metteva in risalto il ruolo di Hipponion, l'attribuzione dello scudo alla battaglia della Sagra è stata accantonata. In seguito, nel 422 a.C. Hipponion e Medma combatterono contro la fondatrice riuscendo a sconfiggerla. È in ogni caso probabile che i Medimnaeans (Μεδιμναῖοι) deportati dopo essere stata sconfitti da Dionisio nel 396 a.C. a Messana (anche detta Zancle, l'attuale Messina) per ripopolarla, il che è riportato da Diodoro, fossero dei medmei, e che quindi il passo in questione andrebbe letto Μεδμαῖοι (Diod. xiv. 78.). In ogni caso la città successivamente si risollevò, infatti sono presenti delle monete coniate nel IV secolo a.C. con l'incisione “Mesma”. Non essendo mai stato un centro importante sembra che Medma sia sopravvissuta alla caduta di molte città della Magna Grecia più importanti ed è riportata come una città ancora esistente da Strabone e da Plinio il vecchio (Strab. l. c.; Plin. iii. 5. s. 10.). Il nome non è però presente in Tolomeo e non vi sono tracce successive della sua scomparsa. Sempre Strabone riporta che la città fosse situata in un piccolo retroterra e che avesse un porto o un emporio nei pressi della spiaggia.

La cittadina, che dalle sue dimensioni poteva ospitare una popolazione superiore ai quattromila abitanti, si trovava su quello che è attualmente il terrazzo di Pian delle Vigne (sito nel comune di Rosarno). Nel perimetro compreso tra il Bellavista del Rione Ospizio, l'attuale cimitero, la contrada Pomaro e la zona "Ospedale" sorgevano le case, i laboratori artigianali, i negozi e i templi.

È probabile che la popolazione medmea si sia trasferita a Nicotera, il cui nome è presente nell'Itinerario antonino (pp. 106, 111), e che fu probabilmente fondata dai medmei dopo il declino di Medma.

In epoca medievale il toponimo si incontra per la prima volta nel 1037 in un documento napoletano. Ancora prima, i Monaci basiliani avevano eretto sulla collinetta chiamata Badia un monastero dedicato a Santa Maria del Rovito, di cui rimane, conservata nel Monastero Basiliano di Grottaferrata, una croce d'argento di origine bizantina con un'iscrizione che ne rivela la provenienza.

Dal XIV secolo il feudo di Rosarno fu oggetto di dispute fra nobili feudatari e la corona, fino a giungere in possesso di Ludovico il Moro e poi di Isabella D’Aragona. Agli inizi del XVI secolo, Ettore Pignatelli ricevette dal re Ferdinando il Cattolico il feudo, mantenuto dalla sua famiglia fino al 1806. Carlo III di Borbone vi trascorse una vacanza nel 1735 cacciando fra i boschi della zona conosciuti per la selvaggina abbondante e per le piante medicinali.

Il 5 febbraio 1783 la città fu rasa al suolo da un devastante terremoto che colpì l'intera Calabria causando oltre 60.000 vittime. Rosarno registrò la scomparsa di 203 abitanti, ma la conseguenza più grave fu di ordine geologico, con l'abbassamento della vallata del fiume Mesima. Lo sconvolgimento idrico che ne seguì comportò l'insorgere della malaria e lo spopolamento urbano, condizione attenuata dagli interventi del Marchese Vito Nunziante, generale del re Ferdinando di Borbone, che iniziò un'azione di bonifica che col tempo trasformò una zona paludosa in territorio fertile.

A cavallo del secolo, Rosarno fu il quartier generale del Cardinale Ruffo, che liberò la città dall'esercito francese occupante e che da lì si mise in contatto con re Ferdinando I, nel frattempo riparato a Palermo. Il successore Ferdinando II visitò la città nel 1833, subito dopo la sua incoronazione, ritornandovi vent'anni dopo e ricevendo nell'occasione un'accoglienza trionfale. Anche Giuseppe Garibaldi, durante la sua impresa militare, sostò nel 1860 a Rosarno. Gli abitanti si prodigarono in favore dell'esercito di Garibaldi, e testimonianza degli eventi è fornita dal diario di viaggio dello scrittore-soldato francese Maxime Du Camp, al seguito della spedizione garibaldina.

Anche grazie alle operazioni di bonifica del territorio che si protrassero per decenni, Rosarno divenne un polo di attrazione economica e commerciale attirando migliaia di lavoratori dalla zona jonica e dal napoletano, favoriti dalla nuova linea ferroviaria che univa Eboli a Reggio Calabria e che, agli inizi del XX secolo, si segnalava per un traffico merci intenso. Una spinta verso l'evoluzione del settore agrario fu data dall'occupazione delle terre del Bosco nel 1945: centinaia di famiglie di contadini si insediarono nelle terre incolte dando luogo allo sviluppo di agrumeti e di oliveti.