Nell'antichità venne chiamata Therasia (Θηρασία), poi Hiera (Ἱερά), perché sacra al dio Vulcano, da dove poi il suo nome attuale.

L'isola deve in effetti la sua esistenza alla fusione di alcuni vulcani di cui il più grande è il Vulcano della Fossa, più a nord c'è invece Vulcanello (123 m), collegato al resto dell'isola tramite un istmo. Nel sec. XII erano separati dalle acque; di questa congiunzione si ha notizia solo nel secolo XVI. Forse Vulcano e Vulcanello sono due focolari parziali dello stesso gran focolare vulcanico; il meridionale Monte Aria (500 m), completamente inattivo, che forma un vasto altopiano costituito da lave, tufo e depositi alluvionali olocenici e il Monte Saraceno (481 m).

Il principale vulcano, a occidente, sembra essersi formato dopo l'estinzione del vulcano meridionale; con lave molto acide, ha generato il monte detto Vulcano della Fossa (o Gran Cratere o Cono di Vulcano), alto 386 m, con pendici molto ripide, con a nord un cratere spento, detto Forgia Vecchia. A nord-ovest si trova una recente colata di ossidiana del 1771, detta le Pietre Cotte. Il cratere attivo è situato alquanto spostato a nord-ovest.

Sebbene l'ultima eruzione sia avvenuta nel 1888 - 1890, il vulcano non ha mai cessato di dare prova della propria vitalità ed ancora oggi si osservano differenti fenomeni: fumarole, getti di vapore sia sulla cresta che sottomarini e la presenza di fanghi sulfurei dalle apprezzate proprietà terapeutiche. A nord numerose fumarole continuano ad emettere acido borico, cloruro di ammonio, zolfo, che alimentano un complesso industriale per la produzione di zolfo. Data la tossicità dei gas emessi dalle fumarole, è possibile avvicinarsi ad esse solamente se si è accompagnati da guide autorizzate.

« Dai greci detto Hiera, poiché secondo la mitologia su questa isola si situavano le fucine di Efesto, dio del fuoco e fabbro che aveva per aiutanti i Ciclopi. Di essa parlano Tucidite e Aristotile. Gli studi di alcuni noti archeologi ed etno - antropologi, convergono nell'identificare il sito, come “Isola dei morti”. Sulla base di alcuni indizi, essi sostengono che da tutte le isole Eolie, i morti venissero trasportati qui tramite rudimentali imbarcazioni, onde essere purificati dal dio del fuoco, con riti sacri. Il mancato ritrovamento di cadaveri fa supporre che, alla fine dei riti, le salme venissero trasportate e sepolte nelle isole di appartenenza. Diversamente altri sostengono che i cadaveri venissero seppelliti sull'Isola, ma la natura vulcanica del terreno ha cancellato ogni traccia dei resti umani. Le numerose, antichissime, grotte scavate nella roccia, presenti in località Piano, sembrerebbero essere legate ai suddetti riti funerari. Successivamente i Romani ribattezzarono il dio Efesto, col nome di Vulcano, conseguentemente l'isola venne così chiamata. Ed è da qui che derivano i termini vulcano e vulcanesimo. Come si legge nella "Guida di Messina e dintorni " del 1902, "In quelle acque, Ottaviano, durante la guerra con Sesto Pompeo, pose la sua stazione navale."

Vulcano rimase quindi disabitata per secoli. Intorno al 510, re Teodorico vi relegò, per punizione, il curiale Iovino. Il normanno Ruggero I, conte di Sicilia, intorno all'anno 1083 fece donazione dell'Isola, insieme ad altre dell'arcipelago, al Monastero di “ S. Bartolomeo “ dei frati benedettini di Lipari, tramite il suo Abate Ambrogio. All'epoca le isole erano quasi disabitate e infestate dalla pirateria arabo-islamica. La chiesa locale costituiva per il Re, una base di informazioni e un campanello d'allarme. Le isole, colonizzate dalla Chiesa, potevano vedere un incremento della popolazione e lo sfruttamento delle risorse naturali.

Nel 1090 Papa Urbano II, fece dono delle sette isole a Costantino il Grande, quindi per secoli l'Isola di Vulcano rimase sotto il dominio della Chiesa di Lipari. Nel 1813 giunse da Napoli il generale Don Vito Nunziante, con nulla osta regio, onde potere acquistare terre nelle Isole Eolie, dalla Mensa Vescovile di Lipari. Egli con due atti separati, ma entrambi dell'08.04.1813, ottenne in enfiteusi, dal Vescovo Mons. Francesco Todaro, dieci “salmate” di terra in Vulcano, in zona Proto di Levante, e altrettante in Contrada Porto Ponente. Alla morte di Nunziante, gli eredi, intorno al 1873 entrarono in contatto con un certo James Stevenson, ricco signore di Glasgow, interessato all'acquisto di grandi quantità di zolfo, che forniva al Regno Unito e alla Francia. L'atto di vendita fra gli eredi di Nunziante e James Stevenson, venne stipulato nel 1873. L'industria artigianale per la lavorazione dello zolfo, già avviata nel XVIII, venne ripresa da Nunziante e incrementata dallo Stevenson. Per i lavori venivano utilizzati i coatti, prigionieri condannati ai lavori forzati, alloggiati alla meno peggio in dei “cameroni”, tuttora esistenti, nei quali si lavorava anche lo zolfo. La notte del 3 agosto 1888, l'eruzione del Vulcano poneva fine a tutte le attività lavorative. La moglie dello Stevenson, terrorizzata, obbligò lo stesso ad abbandonare l'isola e a fare ritorno in Scozia. Alla morte dello Stevenson, nel 1903, i suoi beni di Vulcano vennero acquistati dalle famiglie Favaloro e Conti.

Dalla fine dell'800 cominciarono ad arrivare dalla Sicilia i primi contadini in cerca di fortuna. Da Gelso, ove vi era una sorta di porto naturale per le barche, i lavoratori della terra, a dorso di asini e muli, si spostavano a Vulcano Piano, zona pianeggiante a circa 400 metri di altitudine s.l.m. Proprio a Gelso ritroviamo la prima chiesa dell'isola (Sec. XIX), poco più che una stanza, tuttora esistente. Vulcano Porto si cominciò invece a popolare nel XX secolo, con la presenza di pochissimi nuclei familiari, provenienti dalle coste siciliane e dalla vicina Lipari. Solo intorno al 1950 Vulcano iniziò ad essere frequentata da turisti, che oggi costituiscono la maggiore risorsa economica dell'isola. »