Fu la prima colonia della Magna Grecia nel lembo estremo della penisola italica, dove già con gli Ausoni era iniziata la storia del nome Italia, oggi riferito all’intero Paese. Tra il 756 a.C. ed il 743 a.C., i greci approdarono a Rhegion, attuale Reggio Calabria, e a Zancle, attuale Messina. Dopo di esse, in quella che alcuni secoli più tardi divenne la celebre Megale Hellas di cui Rhegion fu culla privilegiata, altre colonie furono fondate: Sybaris (Sibari) e poi Kroton (Crotone), Krimisa (odierna Cirò Superiore), Petelia (odierna Strongoli), Makalla (zona Murge di Strongoli), Chone (odierna Pallagorio) e Lokroi Epizephyroi (Locri Epizefiri).

La Magna Grecia prosperò con le sub colonie: i reggini fondarono Pyxus (Policastro Bussentino) in Campania, i locresi fondarono Medma (Rosarno) passando da Città-forte (Polistena) e Hipponion (Vibo Valentia) in Calabria; i sibariti fondarono Poseidonia (Paestum) in Campania; i crotoniati fondarono Terina e Skylletion (a Roccelletta di Borgia) e contribuirono alla fondazione di Kaulon (Monasterace marina) in Calabria, gli zanclei fondarono Metauros (Gioia Tauro) in Calabria. In particolare la fondazione di Kaulon si deve a Caulone, figlio dell’Amazzone Cleta, guerriera imbattutasi nella penisola italica dove fondò Cleto, oggi nome del comune della Presila cosentina. Questo fu il tempo in cui le donne, sposate o etere che fossero, furono protagoniste nell’esercizio del sapere, di dominio non maschile ma universale. Vissero e prosperarono donne sapienti che non dovettero rinunciare ad essere custodi del focolare, o viceversa, in una pienezza di tale bellezza da essere oggi un esempio, una visione ancora da compiere. Ciò fu nella scuola pitagorica nata a Krotone poi sbarcata anche a Rhegion, luogo fiorente in cui a prosperare furono Cultura, Filosofia, Scienza e Sapienza femminili nel nome e nelle persone che ne animarono la conoscenza. Il fondatore fu Pitagora nato a Samo e giunto a Kroton all’età di 40 anni, dopo aver combattuto per la libertà ed essersi sottratto alla tirannide di Policrate di Samo. Grazie a lui, nel 530 a.C.circa, nacque una scuola di pensiero, presidio di un intenso fermento politico e culturale aperto a tutti, anche alle donne, sbarcata più tardi, tra il VI e il V secolo a.C., anche nella Rhegion di Anassilao , dove divenne tra i presidi più importanti di tutta la Magna Grecia. Fiorirono scultori di cui rappresentanti furono Clearco e Pitagora di Reggio o Pythagoras, legislatori come Ipparco e lirici come Ibico.

Un’impronta rivoluzionaria, quella di Pitagora senza il quale oggi la matematica, la scienza, l’astronomia, la filosofia non sarebbero ciò che oggi sono. Egli ispirò la sua visione ad un’etica antesignana di una parità autentica all’epoca sconosciuta anche nella madre Atene ed oggi ancora non raggiunta, appresa a Delfi dalla sacerdotessa Temistoclea. Il suo modello ideale fu quello di un sistema meritocratico senza differenza tra greci e non greci, tra uomini e donne, in cui ogni essere anche femminile avesse accesso alla conoscenza con una normalità straordinaria. La sua grande opera fu proseguita dalla moglie Teanò, che ereditò la direzione della scuola, e dalla figlia Damo, alla quale affidò i suoi scritti alla sua morte. Furono tante le donne che animarono la scuola pitagorica, segnando una svolta senza precedenti. Nella ricostruzione storica viene in soccorso lo studio del professore di Numismatica dell’Università di Messina, Daniele Castrizio, che, richiamando il filosofo Giamblico e la sua ‘Vita di Pitagora’, menziona i nomi di diciassette delle più illustri pitagoriche: Timycha, moglie di Myllias di Crotone; Philtis figlia di Teofrio di Crotone; Byndacis, sorella di Ocellus e Occillus, Lucani; Chilonis, figlia di Chilone lo Spartano. Cratesiclea la Spartana, sposa di Cleanore lo Spartano; Theano, la sposa di Brontino da Metaponto; Myia, la sposa di Milone di Crotone; Lasthenia dell’Arcadia. Abrotelia, figlia di Abrotele di Taranto; Echecratia di Fliunte; Tyrsenis da Sibari; Pisirrhonde da Taranto; Nisleadysa da Sparta; Bryo l’Argiva; Babelyma l’Argiva e Cleachma, la sorella di Autocharidas lo Spartano. Alcune di esse sono legate alla storia di Kroton.

Teanò fu eminente per la sua intelligenza e la sua sapienza. Qualcuno nutrì dubbi sul fatto che fosse la moglie di Brontino da Metaponto piuttosto che la moglie di Pitagora. La tesi maggiormente accreditata è quella secondo la quale esistettero due donne con questo nome, una moglie e poi direttrice della scuola di Pitagora, l’altra discepola di Pitagora. Giamblico le menziona entrambe. Diogene Laerzio riferisce che Teanò fosse la sposa di Pitagora e figlia di Brontino di Crotone, un aristocratico seguace dell’Orfismo. Con Pitagora avrebbe generato tre figlie: Myia, Damo e Arignote (tutte filosofe), e due figli Telauges e Mnesarchus. Anche su di loro esistono fonti contrastanti che le definiscono figlie e discepole di Pitagora. Filosofa, cosmologa, matematica, astronoma, studiosa di fisiologia ed eccellente guaritrice, Teanò, dotata di forte personalità e viva intelligenza, emblema di conoscenza e rigore, scrisse un corpus di nove lettere, di cui tre sono oggi ritenute autentiche mentre le altre, con ogni probabilità, sono pseudoepigrafiche, ossia attribuite a lei ma stese da altre donne pitagoriche.

In una di quelle autentiche ella esplicitò cosa sia il numero, ossia mezzo e non fine per comprendere il cosmo. Si tratta del più lungo frammento attribuitole dagli antichi e proveniente con ogni probabilità dalla sua opera sulla pietà; in esso, Teanò disputò l’idea pitagorica secondo cui ogni cosa sarebbe nata o avrebbe avuto origine dal Numero; ella sostenne piuttosto che i Pitagorici affermavano che ogni cosa fosse stata formata in accordo con il Numero, dal momento che nel Numero risiedeva l’ordine essenziale di tutte le cose.: “Ho sentito dire che un gran numero di Greci credeva che Pitagora avesse detto che tutto nasceva dal numero. Ma questa affermazione ci lascia dubbiosi, in che modo è possibile che cose che non sono, generino. Egli ha detto non che tutto nasceva dal Numero, ma tutto era stato formato conformemente al Numero, poiché nel Numero risiede l’ordine essenziale, attraverso la comunicazione di questo ordine anche quelle cose che non possono essere numerate sono collocate come prime, seconde, così via”. Molte opere di Theanò sono citate dagli antichi scrittori. Bellissimi sono i suoi frammenti a carattere morale, ad esempio: “se l’anima non fosse immortale, la vita sarebbe davvero una festa per i malvagi che muoiono dopo aver vissuto una vita corrotta“.

Damo fu la figlia maggiore di Pitagora al quale il celebre filosofo affidò i suoi scritti in punto di morte. Diogene riferisce che “la incaricò di non divulgarli a nessuno che fosse al di fuori della sua casa. E lei, sebbene avrebbe potuto vendere i suoi discorsi per molto denaro, non li abbandonò, poichè giudicò la povertà e l’obbedienza ai comandi di suo padre più preziosi dell’oro“. Giamblico riferisce anche quali testi Pitagora abbia affidato a sua figlia: “Pitagora compose il suo trattato sugli Dei e ricevette l’assistenza di Orfeo, perciò quei trattati teologici sono sottotitolati, come i sapienti e fidati Pitagorici affermano, da Telauges; presi dai commentari lasciati da Pitagora stesso a sua figlia, Damo, sorella di Telauges…”

Rinomata per la sua sapienza, la sua devozione, la sua eleganza, la cura per la sua casa, nota come ‘il museo’, fu un’altra figlia di Theanò e Pitagora, e moglie dell’atleta Milone di Crotone, Myia. Esiste una lettera attribuita a lei e indirizzata a Phyllis, ricca di consigli sulla scelta della nutrice. Eccone uno stralcio. “(…)Non lavare continuamente il bambino. Lavarlo non troppo spesso, a media temperatura, è la cosa migliore. Inolre, l’aria deve avere una giusta misura di caldo e freddo, e la casa non dev’essere nè piena di correnti d’aria nè troppo chiusa. L’acqua non dev’essere nè calda nè fredda, e le lenzuola non devono essere ruvide ma piacevoli per la pelle. In tutte le cose, la natura desidera ciò che appropriato, non ciò che è stravagante. Queste sono le cose che mi sembrava utile scriverti al momento“.

La terza figlia dei Teanò e Pitagora ebbe il nome di Arignote. Fonti attendibili le attribuiscono importanti opere filosofiche di cui purtroppo non sono sopravvissute tracce se non un bellissimo frammento dal suo discorso sacro: “...l’eterna essenza del numero è la causa più provvidenziale dell’intero cielo, della terra e della regione in mezzo a queste due. Allo stesso modo è la radice della continua esistenza di Dei e Daimones, come anche degli uomini divini…

L’opera di raccolta del letterato Stobeo ci restituisce anche frammenti di scritti di un’altra donna pitagorica che andò in sposa a Teofrio di Crotone. Parliamo della pitagorica Phintys che scrisse come la virtù propria di una donna (ciò che la rendeva una donna eccellente) fosse la moderazione. Sebbene affermasse che alcuni compiti fossero prerogativa degli uomini (comandare gli eserciti, convocare le assemblee) e altri solo delle donne (governare la casa), ella sostenne chiaramente che la filosofia rientrasse fra quelle attività proprie ad entrambi i sessi. Affermò inoltre che sia gli uomini che le donne dovessero coltivare il coraggio, la giustizia e la moderazione, senza trascurare le virtù del corpo: salute, forza, bellezza e delicatezza.

Timycha di Sparta fu sposa di Myllias di Crotone e da Giamblico definita fra “le più significanti donne Pitagoriche” per il coraggio e la resistenza dimostrata al cospetto del tiranno siracusano Dionisio. Costui la torturò convinto che più facilmente da una donna in quelle condizioni (era incinta) e separata dal marito, avrebbe ottenuto di sapere perchè gli altri pitagorici, in cammino verso Metaponto, si fossero fermati dinnanzi al campo di fave. Pur rischiando di essere attaccati da un gruppo di siracusani che li avrebbero uccisi, come poi accadde, i pitagorici non osarono attraversare il campo di fave. Timycha era incinta e non aveva tenuto il passo degli altri, così con il marito Myllias era rimasta indietro e fu poi catturata e torturata dai siracusani. Un aneddoto che consente di sottolineare la tempra dei pitagorici e delle pitagoriche e la profonda convinzione secondo la quale anche solo il contatto con le fave, dunque non solo l’abitudine alimentare, sarebbe stata dannosa e propedeutica, secondo le loro convinzioni, alla malattia e alla morte.