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SITI DA VISITARE

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    Web Link Brigantino - Il Portale del Sud

    l'ultimo veliero borbonico ancora in circolazione

    Il sottoscritto Brigantino stà a guardia dell'Ovo, oppure incrocia al largo di Palermo, Siracusa, o si riposa all'ombra del Gargano. Sorveglio discretamente i nordici turisti che chiamano le nostre città "kasbah" e ne fotografano con potenti teleobiettivi (non hanno coraggio di avvicinarsi!) i panni stesi al sole, tra un palazzo e l'altro.

    Se non mi vedete è perché sono un po' timido, ma all'occorrenza udirete il tuono delle mie vecchie bombarde: guai a chi mi tocca il Sud!


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    Web Link Wikipedia - Portale Due Sicilie

    Regno delle Due Sicilie

    Due Sicilie (le Due Sicilie, in latino Utriusque Siciliae, Dù Sicilî in siciliano, Dòje Sicìlie in napoletano) è il nome con cui è conosciuto il territorio del Mezzogiorno e della Sicilia appartenuto dapprima al Regno di Napoli e di Sicilia, e quindi al Regno delle Due Sicilie.

    Il nome deriva dal titolo che assunse Alfonso I di Napoli allorché riunificò sotto il suo controllo le corone del Regno di Sicilia (titolo che allora spettava ai re di Napoli) e del Regno di Trinacria: rex Utriusque Siciliae. L'unità politica delle Due Sicilie restò effettiva solo finché rimase in vita il figlio di Alfonso I, Don Ferrante, perché presto i sovrani francesi tornarono a rivendicare il diritto d'annessione del Mezzogiorno italiano e, per la loro dinastia, il titolo di rex Siciliae. Dalla Francia allora tentò inutilmente di occupare Napoli Carlo VIII di Francia, e quindi il suo successore, Luigi XII, che infine riuscì a stipulare un accordo con il papa Alessandro VI e Ferdinando II d'Aragona, per cui il pontefice dichiarava decaduto il titolo di rex Siciliae, e al suo posto istaurò la corona di rex Neapolis, di cui fu investito Luigi XII di Francia. Il titolo di Re delle Due Sicilie fu ripreso quindi da Gioacchino Murat e poi, dopo il trattato di Vienna, riadottato da Ferdinando di Borbone, il 9 giugno 1815, e definitivamente assunto da quest'ultimo l'8 dicembre dell'anno seguente dal sovrano borbonico col potere restaurato.


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    Web Link L'Italia che distrusse le ''ferriere'' del Sud

    “Se sei di Mongiana, ogni giorno vedi cos’eri e a cosa sei stato ridotto”.

    Quando Garibaldi, con a seguito le mille camicie rosse, sbarcò nei pressi di Marsala nel lontano 1860, qualcuno non esultò. Troppa la paura che uno straniero venisse non a liberare, ma a conquistare terre già conquistate; insomma, in molti temevano un mero un cambio di “proprietà” e non una ridistribuzione. La storia ci insegna che i riluttanti della liberazione non si sono scostati molto dalla realtà. Tra i diversi soprusi che le truppe garibaldine prima e lo stato piemontese poi hanno inflitto al territorio meridionale, è utile soffermarsi sulla chiusura della più grande acciaieria “italiana” di quel tempo: la fabbrica d’armi sita a Mongiana, piccolo paese di quella perla grezza che è la Calabria.

    Mongiana (ora in provincia di Vibo Valentia, centro Calabria) è sulle Serre calabresi, luoghi dove la straordinaria bellezza dei monti deve fronteggiare quotidianamente sia il pericolo che le frane li distrugga come castelli di sabbia, sia l’isolamento “forzato” che la mancanza di una rete stradale adeguata inevitabilmente crea.

    Era inoltre il posto ideale dove far sorgere un’acciaieria: nelle profonde ferite dei monti limitrofi era depositata in quantità la limonite, un minerale naturalmente ricco di ferro. Mongiana, come spesso accade, nasce come quartiere dormitorio della “fabbrica”: dapprima case sparse, a pungolare lo spazio immenso che separava l’acciaieria dal bosco; successivamente divenne, con l’aumento dei salari e delle garanzie occupazionali, una vera e propria cittadina che, nel periodo di massima espansione, accoglieva quasi tremila persone, divise tra mongianesi e tecnici stranieri. La presenza degli ingegneri e “manager” stranieri (soprattutto inglesi, tedeschi e francesi), manifestava il grado di eccellenza nella qualità del prodotto che manifestava l’acciaio di Mongiana. Il successo del suddetto acciaio era motivato dall’efficienza (con la dovuta contestualizzazione rispetto al periodo storico in questione) che il processo produttivo locale era faticosamente riuscito a raggiungere. Mentre nel resto d’Italia (principalmente in Liguria, Piemonte e Val D’Aosta) il numero di addetti del settore siderurgico pareggiava complessivamente il numero di operai degli stabilimenti di Mongiana e Pietrarsa, la qualità dell’acciaio del “nord” non era in grado di competere con quello calabrese. Il segreto del successo dell’acciaieria “duosiciliana” risiedeva anche negli elevati investimenti ed elevate commesse che i Borbone concentrarono nella zona; il loro obiettivo era di trasformare in loco dei prodotti di base meridionali.

    Grazie all’acciaio dello stabilimento di Mongiana (e di pochi altri paesi vicini), il regno delle due Sicilie era industrialmente autonomo. Ma l’Italia venne e portò via anche l’acciaio mongianese. L’acciaieria venne chiusa con la scusa che il processo produttivo utilizzato nell’impianto di Mongiano era ormai obsoleto. I tecnici dell’epoca dichiararono che le tecniche produttive “moderne” dovessero prevedere la vicinanza degli impianti siderurgici al mare. Non fu molto chiaro il perché lo stabilimento della “Rurh calabrese” venne ricollocato a Terni, città ben più distante dal mare. Basta entrare nel piccolo paese, ormai quasi-fantasma, ridotto, come molti altri della zona, a meno di mille abitanti principalmente anziani, e chiedere cosa i “vecchi” (nell’accezione di memoria storica) pensino della figura di Garibaldi. Per loro, l’aura del condottiero liberatore risulta sfocata, oscurata dall’ immagine dell’usurpatore dell’anima del paese. Si perché, come scrive Aprile, “il mondo dei mongianesi nacque e fu, finché durò, solo industriale, siderurgico, cadenzato sui tempi delle macchine e dei forni[…], con un linguaggio che dai luoghi di lavoro entrava nelle case”. E togliendo l’acciaieria a Mongiana, “fu tolta la condizione essenziale della sopravvivenza”. “Le Serre” continua il giornalista, “erano “l’ambiente” e la siderurgia il “mondo”; pur di non perdere il secondo che li rendeva uomini, rinunciarono al primo”. E ovviamente la comunità depredata dell’unica fonte di lavoro certa e sicura, ottima anche dal punto di vista della “riconoscibilità internazionale”, ha assistito impotente all’esodo in massa della forza lavoro del paese (soprattutto uomini e ragazzi). Ciò che rimase (e che è rimasto fino ai nostri giorni), fu un tentativo di reinventarsi una nuova ricchezza, intesa sia dal punto di vista economico che, parimenti, dall’accezione di “comunità”. Sorsero delle piccole aziende di coltivazione ed essicamento dei funghi ed una sede della guardia forestale calabrese; in toto si ottennero poche decine di posti di lavoro. Oggi la vera Mongiana si trova al dì fuori dei confini calabresi ed addirittura nazionali, “sventrata” da cicliche e devastanti emigrazioni.


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    Web Link Il Partito del Sud

    Il Partito del Sud nasce per realizzare un sogno:

    Un SUD rinnovato e motore del Paese

    Il Partito del Sud

    1. Ripudia:

    • concetti, pratiche e organizzazioni di stampo malavitoso
    • qualunque ideologia che si fondi o fomenti una qualsiasi forma di violenza
    • ideologie, linguaggi o forme diversificate di razzismo,
    • ogni forma di discriminazione basata su differenze di costumi, sesso, religione, etnia.

     

    2. Esclude in ogni caso, sempre e aprioristicamente, intese o alleanze con partiti o formazioni politiche che abbiano tra i propri esponenti di spicco persone coinvolte in vicende malavitose, che professino tesi di stampo razzista o fascista, strategie di tipo violento, oppure che siano stati alleati, nella loro storia o percorso politico, con partiti xenofobi o antimeridionali.

    3. Persegue tutte le iniziative utili a fare luce sulla verità storica degli eventi e delle condizioni socio economiche riguardanti i territori del Sud Italia, anche antecedenti al 1861.

    4. Si propone di affermare in Italia una riforma costituzionale che consenta alle identità territoriali di promuovere uno sviluppo autodeterminato e sostenibile coerente con la propria storia e vocazione.


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    Web Link Il costo per il Sud dell’Unità d’Italia

    Il costo per il Sud dell’Unità d’Italia

    Vi sono aspetti che destano particolare interesse e curiosità quando si parla del nostro Sud e del processo di unificazione dell’Italia. Per molti un aspetto interessante è dato dal brigantaggio quale reazione alla conquista o, se si vuole, quale controrivoluzione, ammesso che vi sia stata una rivoluzione, tendente ad unificare il Paese esportando dal Nord una cultura egemonicamente liberale nelle intenzioni ma fortemente protezionistica nei fatti. Certo il brigantaggio fu un fenomeno sociale e politico, non solo semplicemente criminale. Il brigantaggio lealista si presentò come una forma di reazione alla conquista piemontese che non costruiva un’idea di nazione e di Stato condivisa dal popolo ma ne imponeva man mano le regole della conquista. Il nuovo regno d’Italia rispose alla fame e allo scontento del Sud usando tutta la forza possibile con un impiego di quasi 120.000 uomini.