Nel XVIII secolo lo zolfo serviva per la fabbricazione della polvere pirica e per la preparazione dei zolfini per accendere il fuoco. Nelle miniere di zolfo operavano due tipi di lavoratori: i picconieri e i carusi. I primi scavavano la ganga, (materiale di scarto che deve essere tolto dal minerale prima di utilizzarlo) i secondi avevano il compito di portare all’esterno il materiale ricco di zolfo. Le condizioni di vita all’interno delle miniere erano proibitive. L’elevato calore costringeva i minatori a lavorare nudi. L'estrazione dello zolfo subì poi gravi difficoltà quando gli americani iniziarono l'estrazione dello zolfo con il metodo di Herman Frasch.

Drasticamente i costi rese non più competitive le miniere di Sicilia alle quali il metodo non era applicabile. La prima guerra mondiale aumentò le difficoltà di approvvigionamento dei materiali per l'industria e diminuì i minatori in conseguenza della chiamata al fronte della gran parte della forza lavoro. Alla fine della guerra l'industria dello zolfo americana si accaparrò gran parte del mercato mondiale. Nel 1927 il fascismo demanializzò il sottosuolo minerario creando l'Ente Zolfi Italiani.

Il prelievo dello zolfo di affioramento avveniva anche in tempi molto antichi, si sono infatti trovate vestigia minerarie risalenti al 200 a.C.; questo veniva usato in medicina da tempo immemorabile ma i Romani lo utilizzarono anche a scopo bellico mescolandolo ad altri combustibili.

A metter in moto lo sfruttamento su larga scala dello zolfo siciliano fu la scoperta del metodo Le Blanc (1787) per la fabbricazione su scala industriale della soda. Lo zolfo, ingrediente fondamentale anche per la produzione della polvere da sparo, assunse allora un'importanza strategica pari a quella attualmente ricoperta dall'uranio. Durante le guerre napoleoniche numerosi capitalisti britannici cominciarono ad interessarsi delle zone minerarie a cielo aperto che si trovavano in prossimità dei porti della Sicilia meridionale. Dopo la pace e la restaurazione del 1815 anche varie imprese francesi iniziarono la loro attività nel settore in virtù dello sviluppo della produzione e della richiesta dell'acido solforico che ebbe un'ulteriore effetto propulsivo sull'estrazione del minerale siciliano. Lo sviluppo dell'estrazione su base industriale iniziò intorno al 1820, su iniziativa dei reali borbonici, che cercarono sempre di piegare lo sfruttamento di questo importante settore minerario all'interesse nazionale, ma dovettero spesso cedere alle pressioni esterne di Francia e Inghilterra, le superpotenze dell'epoca. Negli anni tra 1828 e 1830 l'esportazione di zolfo verso gli opifici di Marsiglia per la produzione di soda e acido solforico raggiunse e superò le 35.000 tonnellate. Vari motivi contingenti, tra cui la sovrapproduzione, fecero sì che dal 1830 in poi l'industria zolfiera avesse alti e bassi con oscillazioni dei prezzi piuttosto sostenute anche per la concorrenza delle piriti estratte nel centro Italia e lavorate in loco, il cui costo di trasporto era inferiore. I tentativi di stabilire industrie produttive di acido solforico e soda in Sicilia non ebbero per varie ragioni molto successo;nel 1838 Ferdinando II aveva concesso il monopolio dello zolfo siciliano alla società francese Taix & Aycard che in cambio prometteva lo sviluppo di industrie di trasformazione e la costruzione di 25 km di strade carrozzabili l'anno. Tuttavia questa scelta non condusse ai risultati sperati, poiché i prezzi di mercato salirono eccessivamente, le iniziative industriali non ebbero seguito, e si manifestò la dura opposizione della Gran Bretagna che minacciò addirittura il sequestro delle navi siciliane, così nel 1846 gli accordi in tal senso vennero revocati.

Nel 1840 venne costituita a Palermo la Anglo-Sicilian Sulphur Company Limited una società tra Vincenzo Florio e gli inglesi Benjamin Ingham e Agostino Porry per la produzione e la commercializzazione di acido solforico e derivati dello zolfo il cui più grande importatore nel 1849 era rappresentato dall'Inghilterra, ma che era venduto in grandi quantità anche agli Stati Uniti.

A rilanciare la richiesta di zolfo fu la seria diffusione di una malattia; un fungo parassita della vite colpì i vigneti di tutta Europa devastandoli. L'unico rimedio per prevenirne la diffusione era l'irrorazione delle piante con polvere di zolfo in soluzione acquosa. La raffinazione e la macinazione dello zolfo divennero quindi di nuovo redditizie con la nascita di raffinerie e impianti molitori in varie località costiere del licatese fino a Porto Empedocle e nella città di Catania. La produzione continuò fino alla fine dell'800 quando avvenne un nuovo crollo dei prezzi di vendita che mise in crisi tutto il settore fino a quando gli accordi stipulati con la società Anglo-Sicilian-Sulphur Co., non permisero ai produttori l'accesso al credito per il finanziamento di impianti industriali più moderni migliorando le strutture delle miniere.

Uno dei problemi alla base delle varie crisi del settore era la carenza infrastrutturale nei trasporti, mancanza di strade di comunicazione, mancanza di porti che permettessero l'approdo delle grosse navi da carico, assenza di mezzi meccanici e ferrovie che i vari governi avevano trascurato e che il nuovo Regno d'Italia affrontava con poca determinazione. Nei primi anni settanta del XIX secolo il sindaco di Catania Tenerelli, finanziere e imprenditore del settore zolfifero, denunciava il ritardo con cui si procedeva nella costruzione della Ferrovia Palermo-Catania come motivo principale di paralisi dell'industria zolfifera. Infatti, solo dopo l'apertura della tratta fino a Villarosa (1876), realizzata in subappalto da Robert Trewhella (anch'egli grosso imprenditore zolfifero del catanese) lo zolfo poté giungere celermente alle raffinerie della città e al Porto di Catania. Tale fatto portò la città ad assumere un ruolo preminente nel settore perché abbatté a quasi la metà il prezzo unitario di trasporto, fino al tempo realizzato per mezzo dei carramatti, sorta di carri da carico tirati da robusti cavalli da tiro.

Con l’unità d’Italia il sistema solfifero siciliano visse importanti innovazioni rimanendo comunque legato agli antichi problemi riguardanti i modi ed i rapporti di produzione. L’intervento del nascente Stato unitario fu continuo e si concretizzò con l’istituzione del Distretto e della Scuola mineraria e con la costruzione delle rete ferroviaria siciliana (quest’ultimo intervento introdusse nuove gerarchie territoriali ma ebbe anche ricadute sugli assetti urbani come nel caso di Catania). Ad eccezione della linea ionica, i tronchi ferroviari siciliani seguirono la dislocazione degli insediamenti solfiferi, tra luoghi di produzione, raffinazione e commercio. Questo collegamento tra ferrovie e zolfare si verificò, anche, nelle attività di alcuni costruttori di linee ferrate come, ad esempio, nelle famiglie inglesi Trewella e Sarauw, da sempre impegnate nell’amministrazione di zolfare. Alla fine dell’Ottocento lo zolfo siciliano costituiva la principale ricchezza mineraria italiana, nonostante il persistere di sistemi produttivi primitivi accanto ad isole di alta tecnologia industriale. Attraverso interventi di riassetto commerciale si riuscì a stabilizzare i prezzi dello zolfo e le grandi miniere migliorarono gli impianti grazie, anche, all’arrivo di tecnici e borghesia imprenditoriale provenienti dal nord dell’Italia. Non a caso la quasi totalità dei vecchi impianti, oggigiorno visibili in parte nelle zolfare situate situate nel territorio di Caltanissetta, epicentro dell’estrazione zolfifera, risalgono a quel periodo storico.

Il 1901 fu l’anno di massima produzione ed occupazione, in assoluto, delle zolfare siciliane: 537543 tonnellate di zolfo prodotto con 38922 operai. L’84% dello zolfo prodotto in Sicilia venne acquistato da 30 nazioni. La favorevole situazione per lo zolfo siciliano si protrasse sino al 1906, anno in cui l’attività mineraria cominciò a diminuire a causa della scoperta negli Stati Uniti d’America di un nuovo metodo di estrazione dello zolfo. Dal 1906 lo Stato intervenne più volte direttamente sul settore zolfifero adottando misure protezionistiche ma nonostante ciò lo zolfo siciliano, totalmente esportato all’estero, non riusciva a reggere la spietata concorrenza dell’industria americana. Ciò venne aggravato dall’impossibilità di trasformare lo zolfo in altre materie prime in prossimità dei luoghi di produzione, a causa dell’inesistenza in Sicilia di stabilimenti industriali di trasformazione. Tale utilizzazione avrebbe evitato allo zolfo siciliano la via obbligata dell’esportazione. Il numero delle miniere attive continuò a diminuire costantemente sebbene la produzione di zolfo ed il numero di operai si mantenne pressoché stabile sino all’inizio della seconda guerra mondiale, seppure con numeri ben lontani da quelli di inizio secolo.

Dopo la grave crisi zolfifera nella seconda guerra mondiale, l’attività estrattiva ebbe una lieve ripresa dovuta soprattutto allo scoppio della guerra di Corea ed al conseguente forte aumento della domanda generale di zolfo (ricordiamo che lo zolfo fu un componente principale degli esplosivi bellici). Grazie ad una legge statale, finalizzata all’incremento della produzione, alcune miniere, soprattuto le più estese, poterono beneficiare di ingenti investimenti per impianti di una certa rilevanza, sino al 1959. Gran parte degli impianti moderni delle zolfare risalgono a quel decennio e sono ancora oggi visibili; interessanti non per il valore storico inesistente ma per la mole e l’alta tecnologia dei macchinari. Finito il periodo della guerra di Corea la domanda di zolfo diminuì drasticamente, mettendo in crisi il settore minerario siciliano. Lo zolfo era prodotto a costi proibitivi e i dati di produzione ebbero valori simili a quelli di inizio Ottocento; ciò nonostante le zolfare siciliane rappresentavano in quegli anni una grande realtà industriale in cui lavoravano 7200 operai. Con il passaggio delle competenze del settore zolfifero siciliano alla Regione e, in seguito, con l’acquisizione regionale delle miniere (1964) si aprì un periodo contradditorio per le zolfare siciliane. La razionalizzazione del sistema produttivo e di trasformazione, tanto auspicata dal movimento operaio, non venne mai attuata ma imponenti lavori di ammodernamento interessarono gli impianti delle miniere a gestione regionale, senza che ciò potesse impedire il graduale disfacimento del settore solfifero. Nel 1988 la Regione Siciliana, con la L.R. 8 novembre 1988 n. 34, decretò la dismissione del settore solfifero con la chiusura definitiva di tutti gli impianti. L’Ente Minerario Siciliano, a completamento della sua fallimentare amministrazione, non fece nulla per salvaguardare almeno i macchinari e le attrezzature, lasciandoli nell’incuria generale, contravvenendo anche a quanto stabilito dalla legge regionale 34/1988 che all’articolo 8 recita: “L’E.M.S. […] provvederà alla chiusura delle miniere di zolfo […] curando il recupero dei beni e delle attrezzature utilmente asportabili.”. Venne così decretata la fine di un’intera parte di storia economica, sociale ed industriale della Sicilia.