Blanda (detta poi Blanda Julia) è stata un'antica città enotria, lucana e romana situata sul colle Palecastro nel territorio del comune di Tortora, in provincia di Cosenza.

L’origine dell’insediamento sul colle Palestro o Palecastro risale alla metà del VI secolo a.C., quando gli Enotri iniziarono la loro opera di «colonizzazione indigena della costa», provenienti probabilmente dal Vallo di Diano. La loro presenza sul territorio è stata accertata dal ritrovamento di 38 tombe con corredi funerari enotri, da una stele litica, oltre che dal nucleo originale dell’abitato.

Alla metà del secolo successivo l’insediamento fu abbandonato, forse a causa di un terremoto. Nel IV secolo a.C. il colle Palecastro viene assoggettato dai Lucani, che ricostruirono il villaggio, fortificandolo con una cinta muraria. Con i Lucani l’abitato prende in nome di Blanda. Si costituì una necropoli nella zona tra San Brancato e il Palecastro stesso. L’abitato lucano ha lasciato una grande quantità di materiali ceramici, oggi esposti presso la mostra archeologica di Tortora.

La Blanda lucana fu uno dei referenti costieri degli insediamenti sparsi lungo la valle del Noce. Nel III secolo a.C., Blanda si spopolò in seguito alle guerre romane contro Annibale. Secondo il racconto di Tito Livio la città fu espugnata dal console Quinto Fabio Massimo nel 214 a.C., per poi divenire, dopo un secolo di vita stentata, colonia romana nel I secolo a.C.

Dopo un terremoto che distrusse la città intorno al 70 a.C., i Romani ricostruirono l’abitato, edificandovi un foro con basilica e tre templi dedicati alla Triade Capitolina e collegando le abitazioni con strade ortogonali, riportate alla luce dai recenti scavi archeologici. Si istituì anche un duunvirato.

In età augustea la città viene elevata a Municipium, e continuò il duunvirato. Al nome venne aggiunto l’aggettivo Julia in onore di Augusto. Blanda non fu comunque una grande città, edificata su appena 5 ettari di terreno, non fu un centro di popolamento, bensì un centro amministrativo e giudiziario che controllava un territorio abbastanza vasto e con annesso litorale.

La città era servita d’acqua da un complesso sistema approvvigionamento idrico, fatto di cisterne nelle case e fontane sorgive a polla, i cui resti sono oggi stati interrati sotto il percorso della Strada statale 18 Tirrena Inferiore. La città prosperò fino al V secolo, quando fu saccheggiata e distrutta, forse dai Vandali. L’abitato sul colle Palecastro fu definitivamente abbandonato, ma la comunità blandana rimase unita si stabilì lungo la dorsale della valle della Fiumarella di Tortora, creando un abitato che continuò a chiamarsi Blanda Julia.

Divenuta sede vescovile, la nuova città disponeva di una grande chiesa, sita nella zona di San Bracato, a pianta centrale con ingresso ad ovest e tre absidi, circondata da sepolture, sorta tra il VI e il VII secolo. Nel 592 Blanda subì un'incursione longobarda, e la sede episcopale dovette essere ripristinata dal vescovo Felice di Agropoli, su preciso mandato di papa Gregorio Magno. Nel 601 fu vescovo di Blanda un certo Romano, come ne attesta la sua presenza al Sinodo Romano. Nel 649, anno in cui si svolse il Sinodo Romano, continuò ad essere sede vescovile, come dimostra la presenza del suo vescovo Pasquale. Nell'VIII secolo Blanda passò in mano ai Longobardi. La chiesa continuò ad essere frequentata fino al XII secolo.

Il nuovo abitato di Blanda fu invece abbandonato intorno al X secolo, quando la popolazione si raccolse intorno al Castello delle Tortore, roccaforte longobarda, dando origine all’abitato detto, in onore dell’antica città, Julitta, oggi Tortora.