L'antica Abella, il cui abitato in parte coincideva in età sannitica e romana con il più orientale dei due nuclei dell'attuale centro storico, era di rilievo, fra i centri medio-piccoli della Campania, anche se superata in importanza e grandezza dalla vicina Nola.

Si trova sulla via che collegava e collega tuttora la pianura Campana con la valle del Sabato e il Sannio Irpino, strada meno agevole della Via Appia (che utilizzava il valico di Arpaia); la posizione e la coltivazione della pregiata nux Abellana (nocciola)(da cui deriva la parola spagnola "avellana" con il significato di nocciola) costituivano una risorsa economica, alla quale si aggiungevano lo sfruttamento dei boschi e l'allevamento nelle zone più alte.

L'unico avvenimento storico di un certo rilievo di cui si sappia da fonti scritte è la fedeltà a Roma durante la guerra sociale (91 a.C.-89 a.C.) che fu punita nell'87 a.C. con la distruzione da parte dei sanniti che ancora occupavano Nola.

 

Dalla preistoria al VI secolo a.C.

Si sono reperite testimonianze di epoca preistorica: vasi e frammenti del periodo di transizione fra l'età del rame (eneolitico) e l'età del bronzo, intorno al 2000 a.C. Tuttavia tali ritrovamenti poco contribuiscono, data la loro scarsità e il modo casuale della loro scoperta, alla ricostruzione di quel periodo storico; si ha invece un quadro più organico, anche se tuttora assai lacunoso, del periodo intorno al 700 a.C., fase iniziale della colonizzazione greca lungo le coste della Campania, età che registrò vivaci scambi da un lato con gli etruschi insediatisi già prima a Capua e forse anche a Nola, e dall'altro con popolazioni italiche, nella fattispecie gli Osci. Di tutta la prima metà del VII secolo a.C. ci sono stati ritrovamenti solo sporadici di oggetti che provengono da un settore della necropoli in cui non è stata ancora possibile un'indagine scientifica.

Una oinocoe con decorazione geometrica, databile verso il 700 a.C., imita modelli corinzi ed è stata importata forse da Cuma, mentre un askos della stessa epoca, in uno stile geometrico di carattere assai diverso, proviene forse dalla Daunia, come altri vasi analoghi da Caudium (Montesarchio), Suessula (Cancello) e Pitecusa (Ischia).

Relativamente meglio conosciuto è invece il "periodo orientalizzante recente" (650 a.C.-545 a.C. circa), del quale è stato trovato un notevole numero di tombe sia nella necropoli a nord-est, sia ad ovest della città antica, mentre non si sa ancora nulla delle aree abitate. Le tombe finora note sono ad inumazione a fossa semplice e contenevano spesso ricchi corredi con ceramica locale e vasi importati. Contrariamente a quanto avviene nella vicina Nola, dove le ceramiche sono di gran lunga prevalenti, sono registrati in tale periodo il bucchero e le imitazioni di vasi corinzi, con le stesse forme che si sono trovate anche a Capua. Ciò che sembra confermare il carattere etrusco della città, ad Avella prevalgono i vasi d'impasto a superficie nerastre.

Le "olle a bombarda", di solito con quattro prese spesso unite da un cordoncino, sono come in gran parte dell'Italia centro-meridionale la forma più frequente della ceramica comune; fra i vasi da tavola sono particolarmente caratteristiche le coppe a due anse, le coppe su alto piede a trafori circolari, le tazze con ansa cornuta, gli askoi, le anfore con collo a clessidra ed abbastanza frequenti le brocche, in parte con bocca trilobata. Il motivo decorativo più tipico, che ricorre soprattutto sulle coppe e sulle anfore, è una lambda a rilievo, mentre in altre forme la decorazione è incisa o impressa con la rotella dentata; tra gli oggetti di ornamento personale in bronzo o in ferro le fibule sono dei tipi più diffusi in Campania e mentre nelle tombe maschili prevale quella ad arco insellato con ghiande sui lati, in quelle femminili è comune l'arco semplice, talvolta a navicella, con staffa allungata.

Fra gli oggetti importati ci sono innanzitutto vasi di bucchero, di forme diffuse a Capua e Nola, coppe in impasto a superficie bruna-rossastra molto curata con decorazione impressa a rotella, anch'essi comuni nei centri etruschi della Campania, dei balsamari (ariballwi e bombiliwi) che imitano tipi corinzi nella forma e nella decorazione, ed un ariallos globulare corinzio del primo quarto del VI secolo a.C.

Abella era un centro ad economia sostanzialmente agricola in cui sopravviveva la cultura locale, la quale, per le forme più tipiche della ceramica d'impasto era strettamente affine a quella subito a Nord, a Caudium (Montesarchio), il che potrebbe far pensare a rapporti molto stretti e anche di parentela etnica fra le popolazioni dell'alta valle del Clanis, in cui si trovava Abella, e della valle Caudina.

 

Dal IV al I secolo a.C.

Molte meno notizie si hanno invece per il periodo successivo, e fino agli inizi del V secolo a.C., per il quale solo alcuni oggetti d'importazione greca, tra i quali delle tazze ioniche prodotte a Velia dopo il 540 a.C., o etrusca dimostrano che la vita è continuata. Un corredo isolato della prima metà del V secolo comprende esclusivamente vasi d'argilla figulina, in parte con decorazione a figure nere, che non si distingue in niente da quanto è attestato contemporaneamente a Nola, a Capua ed in altri centri ormai etruschizzati della Campania.

Nel periodo successivo Abella era, come il resto della regione, sotto l'egemonia sannitica e più tardi, assunse carattere di Città, come dimostrano i resti di abitazioni trovati a Nord dell'anfiteatro. L'area urbana, di circa 25 ettari di estensione (la metà circa di Pompei), occupava una zona leggermente sopraelevata a Sud della fuoriuscita del fiume dalle montagne e abbastanza interessata dal riporto dalle alluvioni, che hanno esercitato anche nell'antichità effetti devastanti tutt'intorno; l'impianto urbanistico ortogonale, che è pervenuto in parte, sembra essere stato regolarizzato dopo la distruzione dell'87 a.C. Le mura hanno un tracciato ad andamento regolare per tutta la metà orientale e la sola parte ben conservata, incorporata nell'anfiteatro, è in opera cementizia con paramento in opus incertum, con blocchetti irregolari di varie dimensioni, per cui può essere datata dopo la seconda guerra punica, che interessò più direttamente la vicina Nola, e quindi al II secolo a.C.

Di un santuario fuori della città è testimonianza un deposito votivo con statuette di terracotta e ceramica a vernice nera, solo in parte esplorato. Come le fondazioni delle case, anche le tombe del periodo sannitico finora messe in luce sono per lo più in grandi blocchi di tufo uniti senza malta e generalmente del tipo a cassa. Quelle del IV secolo a.C. inoltrato hanno dato in parte ricchi corredi con vasi a vernice nera ed altri a figure rosse. Di questi si sono voluti attribuire alcuni del gruppo del pittore delle Danaidi ad officine avellane, ma non è per il momento possibile confermare tale ipotesi, sia perché provengono da scavi eseguiti nel secolo scorso senza controllo scientifico, sia perché ad Avella e a Nola quel che si sa è ancora troppo poco per attribuire all'uno o all'altro centro tale produzione.

Significative sono però le importazioni da Cuma, da Capua e, caso raro nella Campania vera e propria, da Paestum, mentre i vasi di officine attiche sono pervenuti così come anche in altre città della Campania e del Sannio, evidentemente tramite Neapolis. Di un certo interesse sono anche delle coppe biansate di bronzo di un tipo non ancora noto in altri centri Campani. Altri oggetti di bronzo, quali le fibule ed i cinturoni con ganci ornati da palmette fanno parte del costume femminile e maschile Sannitico.

Nella necropoli di S. Nazzaro è stato trovato un gruppo di tombe a camera a più deposizioni i cui corredi, suppostamente di famiglie delle classi agiate, si differenziano da quelli delle sepolture precedenti per la prevalenza di balsamari fusiformi per lo più in terracotta, ma in qualche caso anche di alabastro e di provenienza egiziana, e per la presenza di strigili, che sono testimonianza della sostituzione dell'ideologia del banchetto prevalente prima nel rito funebre con gli ideali efebici in un periodo in cui di passo con l'affermazione dell'egemonia di Roma in Campania e le oligarchie locali coinvolte anche nelle attività commerciali derivanti dall'espansione romana in oriente tengono ad aggiornarsi nell'adorazione delle concezioni e mode di provenienza greca.

 

Abella romana

Ad una comunque assai discutibile introduzione di terminologie romane anche nelle istituzioni, che in una civitas federata come Abella rimasero fino al termine della guerra sociale quelle osco-sannitiche, si è potuto pensare a proposito del senatus menzionato nel Cippus Abellanus, un trattato fra Avella e Nola relativo ad un santuario di Ercole di proprietà comune, che è uno dei più importanti documenti in lingua osca.

Non molto dopo la distruzione, viene dedotta ad Abella, così come a Nola ed a Pompei, una colonia da parte di Silla. Ne è testimonianza la spartizione dei terreni da attribuire ai coloni (centuriazione) nella parte in pianura del territorio che non è altro che la continuazione di quella dei territorio nolano e di cui si sono conservate alcune delle vie principali e tracce di altro. Sono infatti riconoscibili ed in parte ricostruibili tre decumani in direzione Est-Ovest e otto Cardines in direzione Nord-Sud che delimitavano quadrati di m 715 per lato (centuriae) costituiti da cento particelle da due iugeri, anche se le quote singole erano in quest'epoca alquanto superiori a tale misura, mentre le vie principali della città ed anche quelle di collegamento con altri centri conservavano un orientamento diverso.

Nella città sorsero fin dall'età tardo-repubblicana edifici pubblici e furono ricostruiti quelli privati, anche se in qualche area periferica quale quella attigua all'anfiteatro subentrarono degli orti al posto di abitazioni, il che è da mettere in rapporto con l'accentrazione sempre maggiore della popolazione, specie in un centro senza grandi attività economiche oltre l'agricoltura e l'allevamento, nelle ville rustiche del territorio che erano i centri di latifondi gestiti con l'impiego degli schiavi.

Tra questi edifici il meglio noto è l'anfiteatro, eretto in opus reticulatum di tufo forse non molto dopo la deduzione della colonia, come quello di Pompei, di cui ricalca all'incirca le dimensioni. Fu appoggiato all'angolo sud-orientale delle mura ed in parte al pendio naturale, e solo la parte meridionale poggia su grosse costruzioni a volta, mentre l'arena si trova sotto il livello circostante. Sono ben conservati i due vomitorii principali nell'asse maggiore dell'ellisse (itinera magna) con ambienti laterali, e il podio che divideva la curva dall'arena, e dei sedili in tufo dell'ima cavea interrotti in corrispondenza dell'asse minore da podii (tribunali); è rimasto abbastanza per permettere la ricostruzione. Un'immagine schematica dell'edificio è pervenuta sul fianco di una base onoraria di età imperiale. Nel tardo impero fu iniziata la costruzione di stalle nel podio, poi rimasta interrotta dagli eventi che precipitarono con la dissoluzione dell'impero romano d'Occidente.