Fu poeta dalla tematica insolita, se possiamo giudicarlo solo in base ad i suoi lavori che i secoli (in pochi frammenti) ci hanno permesso di apprezzare: Hadypatheia (cioè Gastronomia o Piacevolezze, Sul dolce gusto) ed altri.

Archestrato fiorì, come usano solitamente dire le fonti varie classiche per indicare non la data di nascita dell'uomo, ma il suo sbocciare alla vita artistica nel pieno della sua produzione, nel IV secolo a.C. ed il suo componimento pare sia stato scritto nel 330 a.C. (indirettamente ci si basa sulla data di enunciazione di alcune idee Aristoteliche, presenti nell'opera, e risalenti al 335 a.C.). Ha composto inoltre i Consigli, diretti ad amici, come Mosco o Cleano, e Gran Vita.

I molti viaggi sostenuti dal nostro, per lo meno vantati negli esametri del poema, furono fatti al solo scopo di conoscere quante più "piacevolezze" del palato era possibile, onde elencarle e vantarle. Ennio apprezzò molto questo componimento, al punto da trarne ispirazione per i suoi Hedyphagetica. In Ateneo abbiamo riportata una attestazione di Dafno di Efeso:

"A tali osservazioni Dafno l'Efesiano aggiunse quant'altro: 'Archestrato, che fece un viaggio per il mondo per saziare sia stomaco che altri più bassi appetiti, dice: 'Mangia, caro Mosco, una fetta di tonno Siciliano, al tempo del taglio per essere salato e messo in giare. Però il pesce persico, l'aroma del Ponto, io bene affiderei alle regioni basse, così come fa chi lo loda. Poiché pochi sono tra i mortali coloro che lo ritengono un misero boccone. Mantieni, comunque, uno scombro tre giorni fuori dall'acqua, prima che inizia la salamoia, ancora fresco in giara e solo mezzo salato. E se tu andrai nella splendida città di Bisanzio, mangia ancora - ti prego - una fetta di horaion, perché esso è proprio succulento'" (116 f, 117 a; Ateneo, I Deipnosofisti, op. cit.).

Per Archestrato tutto va considerato prima di ingoiare del cibo; se si parla di pesce - ne è un patito - si specifica la specie, ed il tempo in cui va pescato perché offra il meglio di sé - ad esempio "Al sorgere di Sirio", (Ateneo; 327, d; op. cit.) al condimento, che va lesinato se si dispone di polpa già gustosa; la cottura varia per modalità, certo, ma occorre porre la massima concentrazione sul bene che subisce l'assalto della fiamma, quasi che la volontà umana possa misteriosamente dire la sua al cibo che si intenerisce.

Pur conta come si mangia, velocissimamente se si hanno certe portate.

"Ad Enos e nel Ponto compra la sogliola, che qualche mortale chiama scava-sabbia. Fai bollire la sua testa senza condimenti, semplicemente ponila in acqua mescolando frequentemente. Al suo fianco poni dei capperi spezzettati, e se desideri proprio dell'altro aggiungi sopra del forte aceto; fallo assorbire per bene, e poi mangia in fretta, senza paura di soffocarti per troppo zelo. La rimanente parte, posteriore e altro, del pesce andrebbe infornata". (326, f; 327, a; op. cit.).
"A Delo come in Eretria, forniti di porto, abitano presso il mare. Lì compra solo la testa (del phagros; n.d.A.) e la coda affettata; tutto il resto, amico mio, non farlo entrare neppure in casa". (327; d).

Ateneo è prodigo di elogi per il gelese, definendolo persino"polistor", cioè di grande cultura (325; d).

"Poiché Archestrato, nel Gastronomia, descrive con tali parole dove è possibile comprarlo: 'In Sicion, amico caro, tu puoi ottenere la testa del grongo: polposa, grossa, vigorosa, assieme alle interiora. Quindi falla bollire in acqua salata a lungo, poi devi aromatizzarla'. Proseguendo tale nobile esplorazione egli descrive le regioni italiane, per poi riprendere:'Tu puoi pescare un bel grongo (goggros), che è così superiore agli altri pesci, così come il più grasso tonno lo è del povero pesce corvo (ombrina; n.d.A.)'". (293; f; 294; a) .
"Ed il saggio Archestrato (dice): 'Quando andrai a Mileto, prendi dal Gesone (un fiume, od una palude; n.d.A.) un cefalo, ed una spigola, creatura degli dei. Poiché lì vivono come meglio non si potrebbe, per la natura del luogo.
Ce ne sono tanti altri più grassi nella splendida Calidone, o nella salubre Ambracia come nel lago Bolbe; ma quelli non hanno uguale fraganza di interiora, o una polpa così stuzzicante. Quelli di Mileto, amico mio, sono eccellenti, meravigliosi. Una volta nettati dalle squame, mettili in forno con fuoco tenue, e servili senza grasse salamoie. Ma non permettere che Siracusani o Greci d'Italia ti stiano accanto quando ti dedichi a questo piatto, poiché essi non sanno preparare un buon pesce, preferendo sciuparlo errando appieno riversandogli formaggio, e inzuppandolo d'aceto e salamoia a base di silfio. Per quanto riguarda i tre volte maledetti pesci di scoglio, essi sono i migliori nel comprenderne le doti, preparandone cene, con raffinata destrezza le varie specie con grasse salse'".
(311; a,b,c; op. cit.)

Ed ancora riferisce Ateneo di Archestrato (4, a) avanzando una critica al grande esperto, citando un frammento dell'opera Gastronomia:

"Archestrato di Siracusa - od era egli di Gela? - in un lavoro che Crisippo chiama Gastronomia (che però la quale Linceo e Callimaco titolano L'arte della dolce vita, e Clearco L'arte del mangiare, ed altri: L'arte della prelibata cucina) ed è un poema in verso epico che inizia così:'Lezioni d'apprendere io offro all'intiera Ellade'- e continua -'concedete di servire pranzo su di una tavola sfiziosamente apparecchiata. Lì dovrebbero sedersi in tre o quattro al massimo, o a limite non più di cinque. Altrimenti noi dovremmo ora avere un padiglione di predoni, ladri del vitto'. Egli non sa che alla mensa di Platone vi erano dagli otto ai venti commensali".
"Ed il nobile Archestrato afferma: 'Compra un cefalo nella Egina cinta dal mare, ed avrai la compagnia d'affascinanti uomini'". (307; d;).
"Piuttosto, comprami la testa di un 'glaukos' ad Olinto o a Megara; poiché viene pescato nelle lagune della magnifica terra". (295; c; op. cit.).

Ma tali digressioni, norme di etichetta, da rispettare quando si ha la coscienza di vivere in una civiltà così evoluta da abbisognare che l'alimentazione segua dei riti d'eleganza, vanno intese non come capricci degli uomini di corte, ma diffuse anche al ceto benestante dell'isola; leggiamo ancora in Ateneo (4; b, c) che a detta di Clearco "Carmus il Siracusano aveva versi e proverbi sempre pronti per ogni piatto servito nei suoi banchetti".

Ed ancora: " (...) c'era Tellia di Agrigento, un gentiluomo ospitale, che dava il benvenuto a tutti coloro che giungevano, ed il giorno che cinquecento cavalieri di Gela si fermarono da lui durante la stagione invernale, egli diede ad ognuno una tunica ed un mantello".

"Nel tempo in cui Orione si trova nei cieli, e la madre dei raccoglitori di vino inizia a disperdere le proprie trecce, allora abbi un sarago infornato, cosparso di abbondante, caldo, formaggio, e sferzato da mordace aceto, poiché tale pesce ha polpa coriacea. Ricordati perciò di condire in tale modo ogni pesce duro. Ma il pesce naturalmente tenero, di ricca polpa, aggiustalo solo di sale e olio, poiché esso ha solo in sé stesso ogni gioia". (321; c).

Ma quanto è grande invece la personalità di questo gran goloso?

"E così, amici miei, quando si tengono in conto questi fatti, egli dovrebbe a buon motivo approvare l'atteggiamento del nobile Crisippo, per la sua acuta assimilazione dell'opera 'Natura' di Epicuro, ed il suo evidenziare che il cuore della filosofia epicurea è la Gastronomia di Archestrato, nobile poeta epico che a tutti i filosofi diede familiare nutrimento, che rivendica come Teognide il merito suo" (104, b).

Questo è un frammento che in estrema sintesi rivela quanto alto merito gli studiosi del tempo scrutavano nell'opera del gelese - che qui riponiamo in risalto dopo troppo tempo - ponendolo come creatore di un nuovo pensiero, poi detto epicureano dopo la sua divulgazione, che, ricordiamo, splendette ammirato nella ricca ed affermata Roma imperiale. E si ha una ripresa di esso nel VII libro dei Deipnosofisti (278; f):

"Crisippo, a tutti gli effetti un vero filosofo, dice che Archestrato fu il precursore di Epicuro e di coloro che adottarono le sue dottrine sul piacere, causa di ogni corruzione".

Conferma fortemente quanto detto anche il fatto che Antifane scrisse un' opera che prese nome dal gelese:Archestrata, o Archistrata (Ateneo; 322, c). Ma leggiamo altresì in Diogene Laerzio:

"Teodoro eliminò radicalmente le comuni credenze negli dei e ci è occorso di leggere un suo libro Degli Dei punto spregevole. Secondo alcuni anzi questo libro fu la fonte preminente di Epicuro". (Vite dei filosofi; II, 97; a cura di M. Gigante; Laterza, 1976).

Vale qui sottolineare, seguendo il bel parere del professor Burton che fu della Harvard University, che

"persino gli Ateniesi, conosciuti per i loro semplici costumi di vita, adottarono una cucina più raffinata dopo il benessere succeduto al periodo delle guerre Persiane. Specialmente in Sicilia, l' arte culinaria si era elevata quasi a dignità di scienza verso il V secolo a.C."

e - come noi consideriamo sul piano letterario l'attrattiva che l'isola esercitava sui dotti del tempo - lo studioso paragona la diffusione dei manuali siciliani di cucina per il mondo greco alla esportazione dell'arte culinaria negli Stati Uniti nei primi del secolo, a beneficio dei semplici "New Yorkers" cui venne insegnato loro come e cosa mangiare. Dopo aver viaggiato per il mondo, siamo d'accordo con piena convinzione, ma sicuri che Archestrato avrebbe certo gustato le certamente migliori bistecche americane: le nostre paiono offendersi dal contatto col fuoco, richiudendosi in loro stesse, e dando al palato poca gustosa confidenza. Tornando a considerare il ruolo della Sicilia come terra attiva ed ammirata non è raro in Ateneo riscontrare frasi di tale genere:

"Il poeta comico Efippo nella commedia Filira (Philyra è il nome di una cortigiana; n.d.A.), dice: - 'Affetterò la razza e ne farò bollire le fette? Che ne pensi? Oppure, alla moda siciliana, è meglio infornarla? - Così è meglio, alla siciliana'". (286; e; op. cit.)

Ed ancora nei Deipnosofisti:

"Il Latos. - Tale pesce, concordando con Archestrato, è migliore in Italia. Egli assicura che: 'Nello stretto di Scilla, nella boscosa Italia, si cela lo splendido latos: cibo meraviglioso'" (311; f; op. cit.).
"Però riguardo al 'sinodontas', ricercane solo uno bene in carne. E prova inoltre, amico mio, a pescarlo nello stretto. Lo stesso consiglio, visto che ci siamo, lo do anche a te, Cleano" (322; c; op. cit.).

Ecco altri frammenti o inserimenti del pensiero di Archestrato nel conciliabolo di Ateneo coi suoi 'ospiti': "'Pane infornato su cenere', questo dice quel grande maestro di cucina che è Archestrato (...)" (110, a).

"Archestrato mette a fuoco così, nella sua Gastronomia, i soggetti di pane e pan d'orzo: 'Per prima cosa, perciò, caro Mosco, io richiamerò alla mente i doni del biondo Demetrio, che mi giacciono nel cuore. Ciò che di meglio si può ottenere, sì!, la più graziosa del mondo, è la limpidamente setacciata figlia dell'orzo, che cresce ondulato dal vento, sui rotondi seni terrei di Eresio, a Lesbo. E' più chiara della neve versata dal cielo. Se è vero che gli dei mangiano farina d'orzo, Hermes dovrà correre lì per comprarla loro. Nella Tebe dalle sette porte c'è ugualmente dell'ottimo orzo, a Thasos pure, ed in altre città; ma paiono tosti acini, confrontati con quello di Lesbo.
Afferra con sicuro intendimento quanto ti dico. Concediti pur tu i pani della Tessaglia denominati krimnitas, che peraltro tutto il mondo conosce come chondrinos. Come seguente suggerimento, ti indico l'innesto del sopraffino grano di Tegea, infornato con cenere. Ottimo, pure, è il pane di farina che viene prodotto per il mercato di Atene, per ogni mortale; così come valido è il pane che viene sfornato dai forni dell'Eritrea, dove cresce abbondante l'uva in ogni delicato, ricco, momento delle stagioni: ti delizierà nei banchetti'.

Segue a questa descrizione, dello chef Archestrato, la raccomandazione che i panettieri siano Fenici o Lidi; egli non sapeva che i fornai Cappadoci sono i più grandi. Così dice: 'Assicurati d'avere in casa un uomo dalla Fenicia o dalla Lidia, che sappia come fare giornalmente ogni sorta di pane, qualsiasi sia la tua richiesta'". (111, f, segg.; op. cit.). Prosegue Ateneo:

"E quell'artista della gran portata, Archestrato, nel suo Gastrologia (...) dice ciò a proposito dell'amias (tonnina; è incerto; n.d.A.): 'Così come per l' amias, preparalo per l'autunno, al tempo delle Pleiadi, e nel modo che più ti piace. Ma perché ho bisogno di ripeterti ciò parola per parola? Non riuscirai a sciupare ciò, anche se lo vorresti, perché è per te. Se tu insisti, caro Mosco, sul voler essere istruito sul modo migliore di condire quel pesce, avvolgilo in foglie di fico con pochissima maggiorana. Niente formaggi, non facciamo assurdità! Semplicemente, mettilo in foglie di fico, con dolcezza, e legalo in punta con un laccio; quindi immergilo in cenere calda, e concentrati sul tempo coscienziosamente, finché sia cotto e non bruciato. Lascia che ti giunga dall'amabile Bisanzio, se desideri quanto c'è di meglio, ma l'avrai ottimo anche se sarà pescato qui intorno.
Ma è più scadente quello che arriva da più lontano del mare dell'Ellesponto, e se viaggerà sui lucenti flutti del salato Egeo, non sarà a lungo lo stesso, e totalmente crederai alle mie prime preghiere'".
(278; b, c)


"Codesto Archestrato, spinto da amore per i piaceri, scientemente attraversò terre e mari seguendo il suo desiderio - così mi sembra - di verificare con calma tutti i piaceri della gola; ed al modo dell'autore di Viaggi e crociere, egli si prefisse di esporre accuratamente qualunque cosa e 'Dovunque ci fosse il meglio mangiabile e bevibile'. A tal scopo, nella prefazione di quei nobili Consigli che egli dedicò ad i suoi amici Mosco e Cleandro, egli suggerì loro - alla maniera, citando la sacerdotessa di Pitia - 'di procacciarsi una cavalla dalla Tessaglia, una moglie da Sparta, ed uomini che bevono dalla chiara fonte d'Aretusa'". (278; d, e; op. cit.)

Nel suo Consigli, per l'amico Mosco, Archestrato, definito'eccellente'e'genio'da Ateneo non ci giunge il nome di un pesce, probabilmente lo storione (antakaios), non citabile secondo lo schema dell'esametro:

"Solca l'acque del Bosforo il più bianco tra i pesci; ma null'altro va detto sulla coriacea polpa di quel pesce che prospera nel lago Meotide (Mare d' Azov; n.d.A.); pesce che non si può menzionare in versi". (284; e)
"E il dotto Archestrato nei suoi Consigli afferma: 'Non obliare il polposo chrisophros (orata?; n.d.A.) di Efeso, che la gente di lì chiama ioniscos. Compralo, giacché è nutrito dal sacro Selinuntos (fiume di Efeso; n.d.A.). Sciacqualo attentamente, poi infornalo e servilo intiero, persino se dovesse essere lungo dieci cubiti'". (328; b, c).
"E considerando la rana pescatrice (pesce coda di rospo, o lofio; n.d.A.), il dotto Archestrato fornisce questo altro parere tra generici consigli: 'Ogni qual volta tu vedi una rana pescatrice, comprala (...) e condisci il suo ventre.' (...) 'Mangia la razza bollita a metà della stagione invernale, condita con formaggio e silfio ( pianta originaria della Cirenaica, non sappiamo oggi quale sia; n.d.A.). E in tal modo puoi condire qualsiasi polpa proveniente dal mare che non sia troppo grassa; ed è la seconda volta che ti do tale suggerimento'". (286; d)

Ed ancora una (coraggiosa) ricetta a base di pesce, forse si tratta del gobione quando si legge di un 'gonos' piccolo, buono da friggere:

"Considera scadenti tutti i piccoli pesci da friggere, tranne quelli ateniesi; intendo riferirmi ai gonos, che gli Ionici chiamano bavosa; e accettali solo se pescati da poco nel mare della baia di Falero (...). Se tu desideri gustarli appieno devi, al contempo al mercato, acquistare delle urticanti anemoni di mare con tentacoli a foglia. Poi uniscili al pesce e rosola tutto in padella, dopo aver preparato una crema di verdure scelte per ricoprire il tutto". (285; b, c; op. cit.).

Ed ancora altri frammenti, per un mosaico comunque incompleto:

"La corifena da Caristo è la migliore, e generalmente parlando Caristo è area ricchissima di pesce" (304; d)

"Ugualmente in Thaso compra una triglia, ed avrai roba niente male. A Teo è di minore qualità, purtuttavia è buona, se pescata nelle vicinanze della riva" (325; e).

"Dal profondo abisso del largo mare, se in inizio estate (pescati), nel tempo che Fetonte col suo carro percorre l'orbita sua più larga, compra degli 'aulopia'. Servili scottati e accompagnati da salsa. Parte di interiora arrostisci con spiedo"

(326, b; l'aulopia potrebbe essere un tipo di scombro).

Da Gran vita, sempre in Ateneo, abbiamo pochissimi frammenti:

"Archestrato in Gran vita (HdvpaOeia): 'Qui ci sono dei rombi al forno, e una razza, e la testa d'un tonno'". (306; b).

Ateneo cita la Gastronomia anche con tale nome e significato.


Nei Deipnosofisti viene riferito che Linceo di Samo, autore di un Trattato sul commercio, dice di stare attenti a quei venditori dallo "sguardo duro come pietra" che non scendono col prezzo, citando frasi di Archestrato per vantare la propria mercanzia ittica:

"Il mormoro di costa è un misero pesce, mai per nulla buono (...) ma a Taso compra pure la scorpena (scorpìos) se non è più lunga del tuo braccio; da una più grande tieni lontane le tue mani". (313, f; 314, a).
"Giudicherò sempre la salpa un pesce scadente. E più gustoso al tempo che vede il grano mietuto. Compralo a Mitilene". (321; f).

Nella Magna Grecia erano da alcuni mal visti i cosidetti ospiti, desiderosi di rimanere accanto (para) al cibo (sitos): parassiti. Si trattava spesso di approfittatori malvisti; ne parla - male - Ateneo, dopo riportando frasi dell'ammirato Archestrato; il discorso tenuto da Ateneo ha passaggi poco chiari, e d'un tratto, l'argomento sugli ospiti interessati, si sposta su di un altro pesce: lo squalo.

"Nossignore, non sono molti i mortali che conoscono tale ottimo cibo, o che consentono che altri ne mangino. Non lo vogliono gli uomini che sono forniti d'anima piccina come quella della stupida, male alata locusta, e ne sono paralizzati a causa di quel che si dice, che tale essere sia un mangiatore d'uomini. Ma ogni pesce gradirebbe carne umana, se potesse averne. Quindi è un dovere da parte di quanti così stupidamente parlano, indirizzarsi per ciò che riguarda l'alimentazione sui vegetali; indi correggersi con le idee del filosofo Diodoro, e vivere da astemii come tutti i Pitagorici". (163,d;op.cit.).
"In Rodi si trova del pescecane, o squalo. Persino se tu debba morire per averlo, se essi non vogliono vendertelo, prendilo con la forza. I Siracusani lo chiamano cangrasso. Ed una volta che lo hai avuto, sottomettiti pazientemente a qualsiasi destino ti sia stato decretato". (286; a; op. cit.).

Non occorre rischiare molto per mangiare dello squalo, e non è neanche cattivo nei riguardi del palato: scherzando cerchiamo di dirvi che solo la fortuna può avervi aiutato, se non l'avete già mangiato venduto come stoccafisso nordico. Ma è un nostro parere.

Possiamo riferire adesso, quasi in conclusione di questo viaggio nel gusto d'uomini vecchio di duemila e trecento anni, un commento di Crisippo, dal quinto e dal settimo libro del suo trattato Sul piacere e sul bene. Crisippo vede nel mondo di sapori deliziosi dischiuso da Archestrato un abbinamento inevitabile con la ricerca d'altri piaceri. Rimandiamo ancora ad altri posteri la sentenza, con un quesito: sarà colpa di cotanto pesce mangiato in Sicilia e dintorni? Ne riparleremo.

"Vi sono i libri di Filenido, e la Gastronomia di Archestrato, e potenti stimolanti d'amore e di rapporto sessuale; parimenti le giovani schiave erano pratiche di tali atti e di tali situazioni, e dedite a praticar tali cose.
(...) Questo e ciò che impararono per passione, guadagnandoci da ciò che fu scritto da Filenido ed Archestrato, ed altri autori di simile ciarpame. (...). Così come non si può apprendere con cuore quanto scritto da Filenido e nella Gastronomia di Archestrato, tenendo a mente che essi possono contribuire in qualche modo a vivere meglio. Ora tu
(Ateneo; n.d.A.), nel citare così spesso codesto Archestrato, hai addotto scandalo a questo nostro simposio.
Cosa, mi chiedo, ha mai omesso questo nobile poeta epico, che sia considerato rovinoso per la pubblica morale? Egli è il solo uomo che abbia imitato l'esistenza di Sardanapalo, il figlio di Anasindarasse, il quale, come Aristotele disse, fu più sciocco persino di ciò che anticipa il nome di suo padre. (...)
(Ateneo, 335, d, e, f; op. cit.).

Ateneo riferisce di tanti amanti del buon cibo ben preparato, e gli aneddoti non sono privi di grazia. Ripete quanto detto da Egesandro, di uno scambio di frecciate tra il poeta Antagora e il re Antigono, evidentemente durante una campagna militare, dove il re si sarebbe aspettato la composizione di un qualche verso in suo onore da parte del suo uomo di cultura:

"Un giorno (il poeta; n.d.A.) cucinava nell'accampamento un grosso capitone arricchito da lombata. Il re Antigono che gli stava accanto gli chiese:
'Pensi proprio, Antagora, che Omero avrebbe potuto narrare le gesta di Agamennone, se fosse stato impegnato nella cottura di un capitone?'
Al che Antagora replicò come saetta, 'Voi credete che Agamennone avrebbe compiuto tali gesta se fosse stato un simile impiccione, che desidera sapere chi, tra quelli del suo esercito, cucina capitoni?
Ed una volta avvenne che Antagora, che stava facendo bollire una gallina declinò l'invito per andare a fare una nuotata, temendo che i suoi servi ne avessero approfittato per trangugiare tutto il brodo. Su ciò Filocide diede il suo consiglio, cioè che la madre del poeta avrebbe potuto sorvegliare la sua pentola. 'Cosa?!', rispose. 'Ed io dovrei affidare il mio pollo in brodo a mia madre...?'"
(340; f).