Tra i grandi scienziati e fisici dell’antichità un posto di primo piano occupa per i suoi altissimi meriti scientifici Archimede di Siracusa (287 a. C. - 212 a. C.).

Vissuto nell’epoca della espansione politica e militare della colonia di Siracusa, quando erano i tiranni a governare la nobile metropoli siceliota, studiò da giovane nella Scuola di Alessandria fondata del matematico Euclide (III secolo a. C.), autore dell’opera Gli elementi, ritenuta ancora oggi testo essenziale per la conoscenza della Geometria, tra i cui assiomi ricordiamo il noto postulato che “per ogni punto del piano si può condurre una retta, e una soltanto, parallela a una retta data non passante per il punto”. Durante la permanenza in Egitto, dove conobbe fra gli altri Eratostene di Cirene (276 a. C.- 194 a. C.), egli escogitò la pompa a spirale per il sollevamento dell’acqua (la cosiddetta “vite d’Archimede”), che per la forma venne denominata chiocciola; gli Egiziani si avvalsero immediatamente del rivoluzionario strumento meccanico, introducendolo nell’uso agricolo come mezzo valido per l’irrigazione delle terre in cui non arrivavano spontaneamente le esondazioni del Nilo: ne dà testimonianza Diodoro Siculo nel primo e nel quinto libro della Biblioteca storica.

Rientrato in patria, Archimede confermò presto la genialità del proprio intelletto, fissando il rapporto intercorrente tra cerchio e diametro, nonché la teoria della leva («Offritemi un punto di appoggio e io solleverò il mondo»). Lo scienziato strinse rapporti di amicizia con Gerone II, prescelto come tiranno dai Siracusani dopo l’occupazione di Pirro, re dell’Epiro. Sollecito del bene del popolo, il nuovo sovrano promosse l’agricoltura e l’industria ed eresse grandiosi edifici. Archimede da parte sua, collaborando con lui, diede ulteriore lustro a Siracusa con le sue straordinarie invenzioni.

È noto l’episodio, riferito da Vitruvio nel De architectura, secondo il quale Gerone II gli aveva affidato una collana per verificare, senza guastare il prezioso manufatto, se essa fosse di puro oro, per come era stata commissionata e pagata ad un artigiano di fiducia, o se al momento della fusione una parte dell’oro fosse stata sostituita dall’argento. Approfondendo Archimede il principio da lui stesso enunciato per il quale un corpo immerso riceve una spinta verso l’alto uguale al peso del liquido spostato, riuscì calcolando la densità dei lingotti d’oro e d’argento a dimostrare che il sospetto di frode per la collana risultava fondato. Gli era tornata utile una intuizione che gli era capitato di avvertire mentre si lavava in una vasca; si era accorto infatti che le sue membra, immerse nell’acqua, perdevano una consistente porzione del peso reale diventando più leggere. E nudo per come era in quel momento, secondo il noto aneddoto, si sarebbe dato a correre per le pubbliche vie gridando ripetutamente eureka (che significa ho trovato).

A Gerone II, morto novantenne (215 a. C.) dopo 54 anni di regno, succedette il nipote Geronimo, che non si dimostrò però all’altezza del predecessore, provocando la rivolta della popolazione che, sollevatasi in armi, uccise il nuovo tiranno con l’intera famiglia (214 a. C.). Ne derivò una fase di instabilità politica, durante la quale i Siracusani, seguendo le ultime scelte di Geronimo, rinsaldarono i legami con Annibale e con i Cartaginesi; il che offrì il pretesto ai Romani per giustificare la conquista della rimanente area orientale della Sicilia, già assoggettata per il resto a conclusione della prima guerra punica (241 a. C.).

Era in corso in quegli anni la seconda guerra punica (218 - 202 a. C.) e Annibale con le proprie truppe, valicando le Alpi, era penetrato in Italia. Come scrive lo storico Niccolò Rodolico in Civiltà, Zanichelli, Bologna 1955, i Romani, di fronte all’incombente pericolo, «non si avvilirono, ma tutto diedero perché la patria si salvasse. Gli uomini atti alle armi furono arruolati; pure schiavi e liberti ingrossarono le schiere; i templi furono privati dei trofei di guerra, accumulati da due secoli di vittorie, per fornire armi all’esercito; le case dei patrizi e dei ricchi plebei vennero spogliate di argenti e di bronzi. Il condottiero romano Fabio Massimo fu chiamato il Temporeggiatore per la sua sapiente tattica. Egli cercava di schivare battaglie decisive e continuava a molestare e a distruggere le retroguardie del nemico, per logorarne lentamente le forze. La flotta romana incrociava nello Jonio e nell’Adriatico, per impedire che da Cartagine, dalla Sicilia e dalle coste dell’Epiro giungessero aiuti ad Annibale. Un esercito nel frattempo, al comando del console Marco Claudio Marcello, fu mandato ad assediare Siracusa, alleata ai Punici; la città cadde dopo lunga ed eroica resistenza (212 a. C.). Alla sua difesa si prodigò con ingegno e con amore di patria un grande siracusano, Archimede, matematico, meccanico tra i più famosi di tutti i tempi. Egli aveva costruito gli specchi ustori, i quali riuscivano ad incendiare le navi ostili che si avvicinavano al porto. Espugnata dai Romani Siracusa per via di terra, il comandante dell’esercito vittorioso aveva dato ordine che fosse rispettato, nella persona e negli averi, l’illustre scienziato. Ma un soldato, avendo visto un siracusano tutto intento nei suoi studi e avendolo chiamato più volte senza ottenerne risposta, lo uccise. Era Archimede». Il fisico si era servito anche di gru dotate di giganteschi uncini di ferro, che ghermivano e capovolgevano le imbarcazioni nemiche, nonché di macchine lanciasassi, simili a enormi catapulte, che scagliavano contro le navi romane pesanti pietre. Ma tutto alla fine, dopo la lunga ed eroica resistenza, era risultato purtroppo vano.

Claudio Marcello, che non aveva voluto la sua morte e si era anzi adoperato per scongiurarla, lo onorò con solenni funerali e gli fece erigere a Siracusa un monumento sul quale venne collocata una sfera inscritta in un cilindro, con i numeri che esprimono il rapporto fra i due solidi.

 La tomba di Archimede, scoperta successivamente da Cicerone, non è forse la stessa che viene oggi indicata come tale entro il perimetro di un albergo siracusano. Ma non per questo minore è l’emozione quando ci si sofferma ad osservarla.

 Numerosi e di assoluto rilievo sono gli scritti di Archimede pervenuti fino a noi (Principi della Meccanica, Della sfera e del cilindro, Delle spirali, Dei conoidi e degli sferoidi, Equilibrio dei piani, Il Metodo o Avviamento, Sui galleggianti, Misura del circolo, Arenario). Di altri si conservano ampi frammenti. Ma più lungo è l’elenco delle opere purtroppo perdute. La lingua da lui adoperata, il dialetto dorico, era quella corrente in Sicilia durante il periodo ellenistico.