Pitagora (in greco antico: Πυθαγόρας, Pythagóras; Samo, tra il 580 a.C. e il 570 a.C. – Metaponto, 495 a.C. circa) è stato un filosofo greco antico. Fu matematico, taumaturgo, astronomo, scienziato, politico e fondatore a Crotone di una delle più importanti scuole di pensiero dell'umanità, che prese da lui stesso il suo nome: la Scuola pitagorica.
Viene ricordato come fondatore storico della scuola a lui intitolata, nel cui ambito si svilupparono molte conoscenze, in particolare quelle matematiche e le sue applicazioni come il noto teorema di Pitagora. Il suo pensiero ha avuto enorme importanza per lo sviluppo della scienza occidentale, perché ha intuito per primo l'efficacia della matematica per descrivere il mondo. Le sue dottrine segnerebbero la nascita di una riflessione improntata all'amore per la conoscenza.
Pitagora è stato indicato in passato come l'autore del termine "filosofia" (φιλοσοφία) inteso come "amore per la sapienza". La storia della filosofia fa risalire questo nuovo termine a fonti come Eraclide Pontico, Cicerone (nelle Tuscolane) e Diogene Laerzio (nelle Vite e dottrine dei più celebri filosofi).
La vita di Pitagora è avvolta nel mistero, di lui sappiamo pochissimo e la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano sono di epoca più tarda.
Alcuni autori antichi o suoi contemporanei come Senofane, Eraclito ed Erodoto ci danno testimonianze tali da far pensare alla esistenza storica di Pitagora, pur se inserita nella tradizione leggendaria.
Secondo queste fonti Pitagora nacque nella prima metà del VI sec. a.C. nell'isola di Samo, dove fu scolaro di Ferecide e Anassimandro subendone l'influenza nel suo pensiero. Secondo alcune ricostruzioni, il padre potrebbe essere stato un cittadino facoltoso di nome Mnesarco.
Attribuibile alle leggende sulla vita di Pitagora è il suo matrimonio con Teano, dalla quale avrebbe avuto tre figli, due maschi: Arimnesto, Telauge e una femmina: Damo. Infatti «il nome Teano [può] suggerire abbastanza facilmente un rapporto con la divinità ..., mentre assai più improbabili sono i nomi dei figli, maschi e femmine, che egli avrebbe avuto.»
Da Samo Pitagora si trasferì nella Magna Grecia. A Crotone, all'incirca nel 530 a.C., fondò la sua scuola. Secondo Russell, il trasferimento di Pitagora si dovette a cause politiche in quanto il filosofo non approvava la tirannide di Policrate. Dei suoi viaggi in Egitto e a Babilonia, narrati dalla tradizione dossografica, non vi sono fonti certe, essi sono ritenuti, almeno in parte, leggendari.
Sulla sua morte i resoconti dei biografi non coincidono: essendo scoppiata una rivolta dei democratici contro il partito aristocratico pitagorico, la casa dove si erano riuniti gli esponenti più importanti della setta fu incendiata. Si salvarono Archippo e Liside che si rifugiò a Tebe. Secondo una versione, Pitagora prima della sommossa si era ritirato a Metaponto, dove era morto. Secondo altri invece casualmente era assente alla riunione nella casa incendiata e quindi riuscì a salvarsi fuggendo prima a Locri, quindi a Taranto e da lì a Metaponto dove morì.
Quasi sicuramente Pitagora non lasciò nulla di scritto e le opere Tre libri e Versi aurei vanno ascritte ad autori sconosciuti, che li scrissero in epoca cristiana o di poco antecedente.
Una versione della morte di Pitagora è collegata all'idiosincrasia del filosofo e della sua Scuola per le fave che si guardavano bene dal mangiare ed anzi evitavano contatti con questa pianta. Secondo la leggenda, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone di Crotone, preferì farsi raggiungere ed uccidere piuttosto che mettersi in salvo in un campo di fave.
Esistono due interpretazioni riguardo al divieto di mangiare fave. Quella di Gerald Hart, secondo cui il favismo era una malattia diffusa nella zona del crotonese e ciò conferirebbe al divieto una motivazione profilattica-sanitaria. L'altra teoria fa riferimento a credenze antiche, messe in luce da Claude Lévi-Strauss, secondo cui le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell'impurità, dalle quali il filosofo si deve tenere lontano.
Pitagora è tradizionalmente considerato l'iniziatore del vegetarianismo in Occidente grazie ad alcuni versi delle Metamorfosi di Ovidio, che lo descrivono come il primo degli antichi a scagliarsi contro l'abitudine di cibarsi di animali, reputata dal filosofo un'inutile causa di stragi, dato che la terra offre piante e frutti sufficienti a nutrirsi senza spargimenti di sangue; Ovidio lega il vegetarianismo di Pitagora alla credenza nella metempsicosi, secondo cui negli animali non vi è un'anima diversa da quella degli esseri umani.
La metempsicosi
In realtà pochi sono gli elementi certi della dottrina pitagorica, tra questi quello della metempsicosi su cui le fonti sembrano concordare. Oltre a Dicearco che scrive due secoli dopo Pitagora, prima di questi ne parla Aristotele come di un "mito" pitagorico. Platone si riferisce più volte alla dottrina della trasmigrazione delle anime ma non si richiama mai Pitagora ma piuttosto a pitagorici come Filolao. Diogene Laerzio riporta attribuendolo a Senofane un episodio dove:
« si dice che un giorno, passando vicino a qualcuno che maltrattava un cane, [Pitagora], colmo di compassione, pronunciò queste parole: 'smettila di colpirlo! La sua anima la sento, è quella di un amico che ho riconosciuto dal timbro della voce'. »
Derivato dall'orfismo, nella dottrina pitagorica vi è dunque un sicuro aspetto religioso, il quale sosteneva la trasmigrazione delle anime che, per una colpa originaria, erano costrette, come espiazione, ad incarnarsi in corpi umani o bestiali sino alla finale purificazione (catarsi).
La novità del pensiero di Pitagora rispetto all'orfismo è rappresentato dalla considerazione della conoscenza come strumento di purificazione nel senso che l'ignoranza è ritenuta una colpa da cui ci si libera con il sapere. Questa particolarità della dottrina è ritenuta dagli studiosi sicuramente appartenente a Pitagora che viene tradizionalmente definito, a partire da Eraclito, come polymathés (erudito) che «...praticò la ricerca più di tutti gli altri uomini» ma la sua fu una sapienza fraudolenta (kakotechnie). Eraclito non specifica quale fosse il contenuto di questa sapienza che Porfirio, vissuto secoli dopo Pitagora, s'incarica di definire riferendosi al già citato Dicearco, allievo di Aristotele e che quindi scrive di Pitagora due secoli dopo di lui. Scrive Porfirio:
« ciò che Pitagora diceva a quanti giungevano per ascoltarlo, non può essere formulato con certezza: in effetti, regnava tra loro un silenzio eccezionale. Tuttavia, i punti ammessi sono i seguenti: prima di tutto, che l’anima è immortale; inoltre, che essa trasmigra in altre specie di animali; inoltre, che in periodi determinati, ciò che è stato rinasce, che nulla è assolutamente nuovo; e che bisogna riconoscere la stessa specie a tutti gli esseri che ricevono la vita. In effetti sono questi, secondo la tradizione, le dottrine che Pitagora per primo introdusse in Grecia. »
Porfirio non accenna ad alcun interesse di Pitagora per la matematica mentre insiste sul problema dell'anima. Questo ha fatto pensare che Porfirio e Giamblico (altro tardo autore fonte del pitagorismo), che appartenevano entrambi alla scuola platonica, abbiano determinato una specie di sincretismo tra la dottrina pitagorica e quella platonica, una «platonizzazione del pitagorismo».
In che consistesse dunque l'erudizione di Pitagora mancano notizie certe. Anche sulla prima definizione di se stesso come filosofo (come è stato riferito da Cicerone e Diogene Laerzio) attribuita a Pitagora come "colui che ama il sapere", ma non lo possiede in quanto solo il dio è sapiente del tutto, c'è chi ha recentemente avanzato considerazioni a favore della tradizione.
Matematici e Acusmatici
Secondo le tarde testimonianze di Giamblico e Porfirio nella sua scuola si sarebbe verificata una distinzione tra i discepoli, a seconda del loro interesse per i contenuti "scientifici" o mistico-religiosi, in "Matematici" (da mathema, scienza) e "Acusmatici" (da akousma, detto orale) tra i quali dopo la morte di Pitagora sarebbe seguita una contesa tra le due fazioni che si attribuivano l'eredità filosofica del maestro. I primi cercavano di rinnovare il Pitagorismo rifacendosi a una presunta dottrina segreta di Pitagora della quale essi si consideravano i depositari privilegiati. I "Matematici" sostenevano infatti che Pitagora avrebbe insegnato in pubblico ai più anziani incaricati della guida politica della polis, senza badare troppo al rigore delle sue affermazioni mentre avrebbe riservato il suo insegnamento più fondato basato su i mathémata, ai discepoli più giovani che avevano tempo e voglia di apprendere.. Questa tradizione della divisione tra i due gruppi di discepoli è stata considerata poco attendibile e storiograficamente poco fondata ma comunque utile a confermare il carattere religioso della dottrina di Pitagora che tendeva a mostrarsi come dotato di una natura divina e in possesso di poteri magici: il suo insegnamento praticato dietro a una tenda dava infatti un aspetto oracolare alla sua parola per gli allievi, semplici acusmatici, ascoltatori obbligati a seguire le lezioni in silenzio.
È quasi certo che l'insegnamento pitagorico avesse un aspetto mistico-religioso consistente in un addottrinamento dogmatico, secondo il noto motto della scuola “αὐτὸς ἔφα” o “ipse dixit” (lo ha detto lui) e un contenuto che molto probabilmente riguardava gli opposti ed i numeri (in quanto principi cosmologici), da intendersi però, come hanno osservato vari autori, tra cui Edouard Schuré e René Guénon, in un senso non solo quantitativo, ma anche qualitativo e simbolico.
"Scienza" e musica
Riguardo alle elaborazioni scientifiche attribuite a Pitagora, gli storici della filosofia non sono in grado di averne certezza.
Le dottrine astronomiche sono sicuramente state elaborate dai suoi discepoli nella seconda metà del V sec. a.C.
Il teorema per cui il filosofo è famoso era già noto agli antichi Babilonesi, ma alcune testimonianze, tra cui Proclo riferiscono che Pitagora ne avrebbe intuito la validità, mentre si deve a lui avere indicato come sostanza primigenia (archè) l'armonia determinata dal rapporto tra i numeri e le note musicali.
Infatti si dovrebbe a lui l'invenzione della scala musicale.
« Si narra che il filosofo-mago-scienziato avesse scoperto per caso il fondo numerologico, matematico dell'armonia musicale. Passando davanti all'officina di un fabbro, egli sarebbe rimasto colpito dal modo in cui i martelli dell'artigiano, battendo il ferro sull'incudine, riuscivano a produrre echi in accordo tra loro. E soprattutto fu sorpreso della corrispondenza tra rapporti numerici semplici e consonanze sonore... »
Pitagora avrebbe quindi tradotto sperimentalmente la sua intuizione costruendo un monocordo. Egli tese una corda fra due ponticelli e ricavò l'ottava ponendo una stanghetta esattamente al centro della corda (1:2). Poi ne pose un'altra a 2/3 della lunghezza della corda, stabilendo così l'intervallo di 5a. Sistemando a 3/4 un'altra stanghetta trovò così l'intervallo di 4a. La distanza, in termini di altezza, fra la 4a e la 5a fu per lui molto importante e la chiamò tono.
Dobbiamo probabilmente a lui il concetto di divisione dell'ottava. La scala musicale basata su questi intervalli, che nel Medioevo era attribuita correntemente allo stesso Pitagora, ebbe una particolare importanza teorica, al di là della pratica musicale: Platone, nel dialogo Timeo, la descrisse come fondamento numerico dell'anima del mondo. Nel corso del Medioevo, sulla base del racconto della scoperta delle proporzioni numeriche corrispondenti agli intervalli musicali, riportato da Boezio e da Proclo, Pitagora fu considerato l'inventore della teoria musicale.