Alcmeone di Crotone (in greco antico: Ἀλκμαίων, Alkmàion, fl. VI–V secolo a.C.; Crotone, ... – ...) è stato un medico e filosofo greco antico.

Quasi tutte le informazioni superstiti circa Alcmeone di Crotone sono state messe in discussione dagli studiosi: essi si sono chiesti se fosse un medico o un "fisiologo" ("impegnato ad indagare la natura") presocratico, se fosse un pitagorico o in relazione con i pitagorici, se il suo atteggiamento scientifico fosse da qualificare come "empirico", se realmente avesse, primo in Occidente, praticato la dissezione del corpo umano a fini scientifici, se il ruolo centrale da lui attribuito - secondo le fonti dossografiche - al cervello nel coordinare le sensazioni non fosse da ridimensionare.

Negli ultimi decenni la revisione critica delle testimonianze e dei frammenti di Alcmeone ha determinato di fatto il superamento di tutti quegli "entusiasmi", certamente prematuri, che vorrebbero il crotoniate "il padre dell'anatomia, della fisiologia, dell'embriologia, della psicologia, della medicina stessa".

Si è aperta, in tal modo, sul piano metodologico, la via per una comprensione autenticamente "storica" della figura di Alcmeone, dimensionata nel tempo ed "in situazione". Dalla vita di Alcmeone non sappiamo molto. Aristotele  riferisce che, «quanto all'età», «Alcmeone era giovane quando Pitagora era vecchio». Tuttavia, il passo non è contenuto in tutti i manoscritti né concordemente riferito dai commentatori antichi.

Contemporanei e diretti interlocutori di Alcmeone furono, secondo Diogene Laerzio , Brontino, Leonte e Batillo; personaggi considerati da Giamblico «Pitagorici». Dal punto di vista cronologico, risulta incerto se il floruit di Alcmeone sia da individuare nell'ultimo quarto del VI secolo, o piuttosto al principio o a metà (e oltre) del V secolo a.C.. Nel complesso il periodo più apprezzato dagli interpreti moderni è quello che va all'incirca dal 490 al 430 a.C.

La sua patria viene dalle fonti identificata con Crotone, città achea e magnogreca, fondata, secondo Dionigi di Alicarnasso, nel terzo anno della XVII Olimpiade (709-708 a.C.). Il padre era, secondo la tradizione dossografica, Períthos.

Diogene Laerzio considera Alcmeone «discepolo di Pitagora»: il suo impegno avrebbe riguardato «per lo più» la «medicina». Tra i "fisiologi" viene annoverato da Teofrasto. Secondo il giudizio di Galeno, Alcmeone, allo stesso modo di Melisso di Samo, Parmenide, Empedocle, Gorgia, Prodico e degli autori antichi in genere, scrisse un'opera Sulla natura. Per Favorino e Clemente Alessandrino sarebbe stato addirittura il primo a comporre un discorso intitolato Perì physeos. La sola attestazione che fa diretto riferimento ad Alcmeone come medicus è quella di Calcidio, risalente al IV secolo d.C.

Per il periodo storico in esame (VI-V secolo a.C.), la distinzione tra fisiologia/filosofia e medicina risultava essere non ancora strutturata: non solo «la linea di demarcazione fra questi due ambiti doveva essere fluida», ma all'interno dell'indagine "perì physeos" confluivano sia lo studio della natura, che del corpo umano e, più in generale, per gli enti tutti, apprezzati ed osservati nella loro globalità.

Il dossografo greco Aezio, attivo tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., attribuisce ad Alcmeone la teoria medica, divenuta molto comune fra i greci, della salute come equilibrio (isonomia) tra elementi o proprietà (dynameis) opposte:

« Alcmeone dice che la salute dura fintantoché i vari elementi, umido secco, freddo caldo, amaro dolce, hanno uguali diritti (isonomia), e che le malattie vengono quando uno prevale sugli altri (monarchia). Il prevalere dell'uno o dell'altro elemento, dice, è causa di distruzione. […] La salute è l’armonica mescolanza delle qualità (opposte) »

(A. Maddalena in G. Giannantoni), op. cit., p. 241.)

Simile dottrina ricorre, altresì, nel trattato ippocratico Sull'antica medicina (cap. 14) datato dalla critica agli ultimi decenni del V secolo a.C.:

« V'è infatti nell'uomo il salato, l'amaro, il dolce, l'astringente, l'insipido e mille altre cose dotate di proprietà diversissime sia per quantità sia per forza. Ed esse mescolate e contemperate l'un l'altra né sono evidenti né causano dolori all'uomo; quando però una di esse sia separata e permanga come sostanza a sé stante, allora diviene evidente e causa dolori all'uomo. »

(M. Vegetti (a cura di), Opere di Ippocrate, Torino, Utet, 2000, pag. 176.)

Nel riportare la dottrina dei pitagorici, secondo la quale «le contrarietà erano per essi principi delle cose che sono», Aristotele, dubita che all'origine vi fosse stato un contributo determinante da parte di Alcmeone. Questi, ad ogni modo, sosteneva che «duplici sono per lo più le cose riguardanti l'uomo». A differenza dei pitagorici – continua Aristotele – egli «non definiva quali fossero le contrarietà, ma nominava quelle che gli capitavano, bianco nero, dolce amaro, buono cattivo, grande piccolo».

Nel suo Commento al Timeo di Platone, il filosofo Calcidio riferisce che Alcmeone, «esperto di questioni fisiche», fu «il primo che sezionò animali viventi»: in particolare la sua attenzione si concentrò a «mostrare come è fatto l'occhio». Secondo la testimonianza di Teofrasto, Alcmeone ebbe modo di identificare determinati «canali» (poroi) che conducevano le sensazioni dagli organi di senso (orecchie, naso, lingua, occhi) al cervello.

Dal punto di vista storico, la critica più accorta riconosce come «i canali», cui fa riferimento Teofrasto, fossero, per quel che concerne l'udito e l'olfatto, «grosse strutture, quali i condotti delle narici e il meato uditivo esterno». Nel caso dell'occhio, tuttavia, le «osservazioni», effettuate da Alcmeone, «non riguardavano esclusivamente strutture esterne o di superficie: molto sarebbe infatti frutto di una conoscenza delle strutture retrostanti l'occhio». Il medico e fisiologo crotoniate si può, al riguardo, con buona probabilità desumere che abbia, in forma assai limitata e circoscritta, praticato su animali «una recisione dell'occhio per mettere allo scoperto le strutture retrostanti, che si dipartono alla volta del cervello».

Solo dopo Aristotele la dissezione cominciò lentamente ad imporsi, per diventare pratica assai diffusa e sistematica in età ellenistica.

Nel complesso «si può riconoscere che il primo impiego del coltello a vantaggio della ricerca sulla natura risale ad Alcmeone». Questo «rese possibile la scoperta del collegamento nervoso tra l'occhio e il cervello e diede avvio a riflessioni sulla reale sede delle sensazioni in quest'ultimo organo». Di rilievo la testimonianza di Teofrasto (de sensu. 25 sg.):

« Tra quelli che non credono che la percezione nasca da simiglianza è Alcmeone. Il quale prima di tutto definisce la differenza tra uomo ed animali: l'uomo, egli dice, si distingue dagli altri animali perché capisce, mentre gli altri animali percepiscono ma non capiscono; per lui, infatti, percepire e capire sono due attività diverse, e non, come credeva Empedocle, una sola e medesima attività- Poi parla delle singole percezioni. Dice che udiamo con le orecchie perché in esse è il vuoto: questo, dice, vibra, e cioè emette un suono con la cavità, e l'aria ripete la vibrazione. Gli odori li percepiamo col naso, conducendo al cervello l'aria mediante l'inspirazione. Distinguiamo i sapori con la lingua, perché essa. essendo calda e molle, col calore disfa, e mediante la rarefazione dovuta alla sua morbidezza accoglie e distribuisce i sapori. Gli occhi vedono mediante l'umidità che li circonda. L'occhio, dice, contiene fuoco, come è mostrato dal fatto che manda scintille quando è colpito. Vede dunque mediante la parte ignea e la parte trasparente, e tanto meglio vede quanto più è puro. Tutte le percezioni, dice, giungono al cervello e lì s'accordano: ed è appunto per questo che anche s'ottundono quando il cervello si muove e cambia di posto: perché in tal modo ostruisce i canali attraverso i quali passano le sensazioni. Del tatto non dice né come né con che cosa si abbia. Questo dunque disse Alcmeone. »

(A. Maddalena in G. Giannantoni (a cura di), op. cit., pp. 239-240.)

Diogene Laerzio conserva l'incipit dell'asserito trattato di Alcmeone “Sulla natura”:

« Alcmeone di Crotone, figlio di Pirito, disse questo a Brontino e a Leonte e a Batillo: delle cose invisibili e delle cose visibili soltanto gli dèi hanno conoscenza certa (sapheneian); gli uomini possono soltanto congetturare (tekmairesthai). »

(A. Maddalena in G. Giannantoni (a cura di), op. cit., p. 243.)

« Il «metodo tipico della conoscenza umana» consiste, per Alcmeone, nel «tekmairesthai», ovvero nel «procedere appunto per indizi, congetture, prove»: egli, in tal modo, «non faceva che teorizzare la sua stessa prassi di medico, abituato a interpretare l'esperienza per ritrovare in essa un significato, un valore di sintomo, e risalire così all'unità della malattia e delle sue cause». Sotto questo profilo, con Alcmeone «si apriva una nuova via verso il sapere, una via che passava pur sempre attraverso l'osservazione »

(M. Vegetti, op. cit., p. 21.)