Queste sono alcune delle domande cui tenta di rispondere Gennaro De Crescenzo nel volume "Le Industrie del Regno di Napoli". Si tratta di interrogativi davvero stimolanti per le ricerche condotte dall'autore, che non si è proposto di risolvere una questione così complessa come quella dell'industrializzazione meridionale preunitaria, ma solo di recare un contributo utile all'approfondimento di un tema ancora molto attuale.

De Crescenzo, infatti, ricostruisce parzialmente, nelle pagine del suo libro, la storia delle industrie della parte continentale del Regno delle Due Sicilie (i "Reali Domini al di qua del Faro"), in attesa di nuove ricerche relative alla Sicilia ("Reali Domini al di là del Faro"). Il periodo verso il quale concentra la sua attenzione è quello successivo alla rivoluzione industriale, che dall'Inghilterra introdusse la forma-fabbrica a noi più nota e cambiò per sempre il rapporto tra lavoro e vita in senso generale. Proprio negli anni che precedettero l'unificazione italiana la società meridionale, insieme con il resto della penisola, fu messa per la prima volta di fronte al problema dell'industrializzazione e della progressiva affermazione di nuove potenze industriali nelle zone più settentrionali dell'Europa.

Le scelte fatte dalla dinastia borbonica intorno alla metà dell'Ottocento, con le tracce delle industrie che in quell'epoca nacquero o si consolidarono, costituiscono una base necessaria per ulteriori ricerche ed eventuali confronti sui problemi ancora irrisolti del Mezzogiorno d'Italia.

Dalla consultazione di dati e documenti archivistici e dalla lettura di testi specialistici e settoriali dell'epoca, De Crescenzo trae fuori un quadro sintetico complessivo del tessuto produttivo meridionale della prima metà dell'Ottocento, dalla pasta alla ceramica e alla carta, dalle sete ai fucili, dalle lavatrici ai profumi. L'indagine dello scrittore napoletano permette anche di ritrovare e analizzare spunti interessanti di vita quotidiana, riferimenti a temi di grande attualità come la continuità tra passato e presente di alcune produzioni tradizionali, la modernità di scelte rispettose delle vocazioni del territorio o l'interesse architettonico-archeologico-industriale di strutture e siti superstiti.

Il libro si chiude con un elenco di cinquanta primati del Regno di Napoli, dal 1735 al 1860, inseriti da De Crescenzo nel suo volume non senza una punta di sorniona polemica contro i sopracciò della storiografia e della cultura ufficiale, i quali sono soliti irridere quanti ricordano loro le glorie passate di un Mezzogiorno attivo e orgoglioso della propria forza, tanto diverso da quello attuale, improduttivo e depresso, che quegli stessi intellettuali hanno alacremente contribuito a forgiare.