Caulonia, o Kaulon (in greco antico: Καυλών), fu una colonia della Magna Grecia, i cui resti sorgono nei pressi di Punta Stilo, nel comune di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria. L'area intorno al sito su cui insisteva la polis viene chiamata dagli archeologi Kauloniatide.

Secondo la tradizione, il nome della città deriverebbe dal nome del suo fondatore, Caulon, figlio dell'amazzone Clete. Il mito vuole che, dopo la guerra di Troia, gli Achei guidati da Tifone di Aegium sbarcarono sulle coste della Calabria e, con l'aiuto dei Crotoniati, distrussero il regno di Clete. Solo suo figlio Claulon si sarebbe salvato e avrebbe ricostruito la città. Secondo Strabone invece, il nome della città deriverebbe da aulonia, vallonia, cioè valle profonda. Francesco De Sanctis lo farebbe derivare piuttosto dalla parola kaulos, ovvero fusto, tronco.

Circa le ipotesi riguardanti la sua origine, le fonti riportano due principali interpretazioni. La prima, sostenuta da Strabone (Geografia, VI, 1, 10) e Pausania il Periegeta (VI, 3, 12), attribuisce agli Achei il ruolo di fondatori, nella persona di Tifone di Aegium.

La seconda ipotesi, propria di autori più moderni, propende invece per l'origine come colonia di Kroton (l'attuale Crotone). In realtà, non c'è una vera e propria dicotomia tra le due ipotesi: la ricerca archeologica è infatti concorde nell'individuare nell'VIII secolo a.C. il periodo di fondazione di Kaulon, mentre l'influenza crotoniana, corrispondente al periodo di massimo splendore, è databile al VI secolo a.C.

La città era limitata a sud dal fiume Sagra, sulle cui rive nel VI secolo a.C. si svolse la famosa battaglia della Sagra, in cui Kaulon, alleata con Kroton, fu sconfitta dalle poleis di Locri Epizefiri e Rhegion (l'antica Reggio); la leggenda vuole che in battaglia fu decisivo il miracoloso intervento dei Dioscuri.

Nel IV secolo a.C. Kaulon fu poi sconfitta dalle forze congiunte dei Lucani e di Dionisio I di Siracusa, sconfitta che costò nel 389 a.C. la deportazione dei suoi abitanti a Siracusa e la cessione del territorio a Locri, alleata del tiranno. Ricostruita da Dionisio il Giovane, Kaulon fu in seguito preda di Annibale durante la seconda guerra punica, finendo poi definitivamente nell'orbita di Roma per opera di Quinto Fabio Massimo nel 205 a.C.

Strabone ci riferisce che già ai suoi tempi la città era stata abbandonata a causa di conflitti con gli abitanti della regione circostante.

«Dopo il fiume Sagra c'è Caulonia, fondata dagli Achei e chiamata dapprima Aulonia, per la valle che si trova di fronte ad essa. Ora la città è abbandonata: i suoi abitanti, infatti, furono cacciati dai barbari in Sicilia, dove fondarono un'altra città di Caulonia»

(Strabone, Geografia, V, 1, 10)

Fonti letterarie attestano che Kaulon avesse un porto con doppio approdo situato alla foce della fiumara d'Assi e che fosse quindi una città che commerciava in legname. Ricca di materie prime come pietra, magnesia, sale, oro e piombo, sarebbe stato anche un centro per la produzione di manufatti in metallo e vasellame.

 

Gli scavi e i reperti

Già dal XVI secolo diversi studiosi tentarono di individuare il sito della città di Kaulon ma solo l'archeologo Paolo Orsi fu in grado di identificarne il luogo nel 1891, confermato dai primi scavi effettuati tra il 1911 e il 1913 dallo stesso archeologo Paolo Orsi, all'epoca Soprintendente ai Beni Archeologici della Calabria e cofondatore del Museo della Magna Grecia.

Venne alla luce come la struttura della città prevedesse l'esistenza di un centro urbano principale, cinto da mura e posto al livello del mare, all'interno del quale era presente un tempio dorico, di cui ancora oggi sono visibili le fondamenta. Secondo gli studi effettuati all'epoca, alla costruzione di questo tempio avrebbero dovuto partecipare maestranze provenienti da Siracusa, data l'alta quantità di quello che si ritenne essere calcare siceliota.

Si scoprì inoltre che l'area antistante il tempio, attualmente coperta dal mare, era pure occupata dal centro abitato, come testimoniato dai reperti ivi ritrovati, che al tempo stesso attestano la progressiva erosione della costa nell'area.

Gli scavi condotti dalla Scuola Normale Superiore e dall'Università di Pisa a partire dal 1999 e ancora in corso hanno riportato alla luce buona parte del santuario urbano al quale appartenne il tempio dorico. Molti altri edifici di grandi e piccole dimensioni sono stati messi in luce o individuati attraverso lo studio sistematico dei materiali architettonici rinvenuti. E molte scoperte hanno permesso di comprendere l'articolazione delle fasi di vita del santuario, a partire dalla sua prima monumentalizzazione nella prima metà del VII secolo a.C., fino al progressivo declino dei primi decenni del III secolo a.C. Ormai superata è l'ipotesi che la costruzione del tempio dorico si debba a maestranze provenienti da Siracusa: i recenti studi litologici hanno infatti dimostrato che la pietra utilizzata non è un calcare siceliota, bensì materiale estratto in loco.

Al di fuori della cerchia delle mura, e in particolare sul colle Tersinale, era inoltre sito un altro centro cultuale di grande rilievo, come desumibile dalle numerose testimonianze ivi raccolte. Da quest'area provengono alcune favisse ricche di frammenti di terrecotte architettoniche, in particolare frammenti di cassetta, sime frontonali, sime con gronde a testa di leone, alcuni acroteri angolari ed uno centrale, tutto materiale proveniente da tre fasi costruttive diverse di un piccolo tempio.

I numerosi reperti archeologici provenienti dagli scavi effettuati sul posto sono per lo più esposti al Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria. Di particolare rilievo sono due mosaici di eccezionale fattura, entrambi raffiguranti un drago, uno dei quali copre un'area di 25 m² ed è quindi considerato "il più ampio mosaico ellenistico reperibile al Sud". Entrambi i mosaici sono attualmente esposti presso il Museo di Monasterace.

Il finanziamento degli interventi conservativi del sito archeologico in generale, e dei preziosi mosaici del "drago" in particolare, conosce allo stato attuale numerose difficoltà. Il mosaico è stato recentemente adottato da un gruppo di studenti della scuola media dell'Istituto comprensivo Amerigo Vespucci di Vibo Valentia, i quali hanno raccolto una piccola somma tramite autotassazione.